Il male oscuro dei ciclisti ha mietuto un'altra vittima. Franck Vandenbroucke, 34 anni, è stato trovato morto in una camera di albergo mentre si trovava in vacanza in Senegal.
VdB, così come veniva chiamato dai tifosi in Belgio, era un talento assoluto, il migliore dopo il cannibale Merckx. Dal ’99, suo anno magico, ebbe tanti problemi, ma il richiamo della foresta era troppo forte. Pur di correre, nell’agosto 2006, in una gara amatoriale dell’Udace nel pavese si finse un amatore per riprovare quelle sensazioni che in quel periodo non riusciva proprio a vivere.
Il nome del corridore belga si va ad aggiungere, purtroppo, ad una lista già tristemente piena e che a questo punto dovrebbe far seriamente riflettere.
In epoca recente i ciclisti morti in seguito a depressione e solitudine sono almeno 4 oltre a questo episodio.
Nel 2003 lo spagnolo Jose Maria Jimenez, straordinario scalatore della Banesto, muore a 32 anni in seguito ad un infarto, ma che solo un anno prima era stato ricoverato in un clinica psichiatrica per curare una fortissima crisi depressiva. In Spagna era considerato una sorta di Pantani e di lui anticiperà la sua fine.
Il 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini viene ritrovato il corpo senza vita di Marco Pantani, 34 anni, per tutti il Pirata. Un Campione con la c maiuscola, ma una vita in salita, in bici e in tutti i sensi. Dal 5 giugno ’99, con un Giro in pugno, inizia, mal consigliato, il suo calvario che lo porteranno all’uso di cocaina, alla depressione e al fatale cocktail di farmaci la notte di San Valentino.
Nel marzo del 2008, il bergamasco Valentino Fois, anche lui 34enne, muore in seguito ad un malore, forse suicida e anche lui con una discreta carriera alle spalle.
Il 3 gennaio di quest’anno, un altro bergamasco, Luca Gelfi, promessa mantenuta da neoprof, poi d.s. in una squadra di juniores e benestante, si toglie la vita a 42 anni senza un apparente motivo, lasciando moglie e figli.
A questi nomi hanno rischiato, tra i tanti, di infilarsi anche Jan Ullrich ed Ivan Basso, usciti però da questo asfissiante vortice solo con il determinante aiuto della famiglia.
E’ vero che tutti hanno avuto un passato offuscato da vicende vere o presunte di doping, è vero che spesso e volentieri questi ciclisti “maledetti” hanno rifiutato più di un’ancora di salvezza, ma è anche vero che molti loro tecnici e patron ne hanno prima sfruttato doti atletiche ed immagine per poi abbandonarli al loro destino.
Racchiudere in poche parole ciò che c’è dietro a questi gesti estremi è troppo riduttivo, però è un punto di partenza, che ormai si rimanda sempre di più ed inutilmente, per chiedersi perché continuano a succedere