Parma Calcio
Reginaldo a SP: «A Firenze gara da 0-0. Questo Parma è squadra, il “mio” no…»

Nel corso della 25ª puntata di “PARMATALK” (clicca qui per vederla), il webshow di SportParma sui crociati in onda ogni lunedì, è stato ospite Reginaldo Ferreira Da Silva.
L’attacante, grande ex di Fiorentina e Parma, ha aperto il suo intervento analizzando la sfida del “Franchi”: «E’ stata una partita da 0-0, con la Fiorentina troppo frettolosa per cercare di vincerla e arrivare più vicino alla zona Champions; Parma, invece, con la voglia, sì, di fare, ma con il pensiero primario di non perdere. In questa fase, un punto è sempre un punto e la salvezza per il Parma è assolutamente possibile».
Rivivendo il suo passato in crociato – dove tra il 2007 e il 2009 aveva collezionato 8 gol e 8 assist in 62 match (con 4.276′ giocati) – il brasiliano ha fatto un paragone fra il “suo” Parma e quello attuale. L’obiettivo salvezza come filo conduttore del ragionamento: «Il Parma che stiamo vedendo non è forte come quello che avevamo noi quell’anno (2007/2008, ndr), perché il nostro era composto da giocatori forti e di esperienza. Ma, secondo me, vedendo la squadra adesso, ho notato che hanno una cosa più importante che noi non avevamo: il gruppo. L’anno del ritorno in Serie A avevamo un gruppo coeso in cui ognuno si spaccava in quattro per gli altri; mentre, l’anno prima, quando siamo retrocessi, questo non c’era, nonostante tanti fenomeni in squadra. Quando si ha il gruppo si possono fare importanti».
Reginaldo ha proseguito, poi, il ricordo, rivelando qualche retroscena di spogliatoio in più: «La forza del gruppo non dipende da niente. Facendo un esempio dei miei anni, Cristiano Lucarelli che veniva dall’Ucraina si allenava a volte e non sempre, litigava con il mister e questo non era una cosa bella e positiva per il gruppo. Quando devi salvarti, se non sei un gruppo coeso, alle prime difficoltà vai sotto nel risultato e, poi, riprenderla è tosta. Non avevamo quella forza mentale giusta, perché nessun compagno incitava l’altro: c’era gente di esperienza ma mancava la responsabilità. Uno sicuro era Luca Bucci, ma non poteva essere l’unico a dare consigli. Non bastava per tutti».
Riguardo il nuovo allenatore dei crociati, Cristian Chivu, Reginaldo che tante volte lo aveva affrontato in campo da avversario si è così espresso: «Come giocatore era forte: da difensore aveva classe con la palla tra i piedi, sapeva stare in campo e questo è uno dei motivi per cui è diventato allenatore. Si vede che era un giocatore intelligente ed è giusto che faccia l’allenatore in categorie importanti, dopo anni di Primavera e giovanili dell’Inter. Mi auguro che possa stare a Parma a lungo».
L’attaccante, classe 1983, ha analizzato le difficoltà che hanno i giocatori offensivi nelle partite in cui l’obiettivo primario è difendersi: «Giocare contro squadre che devono salvarsi è peggio che sfidare le prime in classifica, perché quelle che devono salvarsi si chiudono, hanno sempre paura e tensione, magari giocano per “un pallone solo”, per una ripartenza. E quindi è difficile per gli attaccanti trovare il gol. Infatti, le squadre più forti hanno sempre perso punti con quelle più piccole, perché queste si difendono e sanno che anche un solo punto può essere importante».
Ritornando al suo biennio parmigiano, l’attaccante nativo di Jundiaí ha svelato anche quali sono stati suoi compagni di squadra preferiti: «I miei giocatori preferiti erano Morfeo e Gasbarroni, però ho avuto la fortuna anche di giocare con Coly, Couto, Bucci: gente importante a Parma come giocatori e come persone. Anche Mariga, mio compagno di stanza, che poi da lì ha vinto il triplete con l’Inter, era importante. L’ho sentito l’altro giorno perché è diventato deputato nel suo paese e sono veramente contento di lui».
Reginaldo è tutt’ora in attività con i reggini del Catona Calcio (Prima Categoria calabrese) e non sembra voler smettere, nonostante l’età prossima alle 42 primavere: «Sono ancora innamorato di quello che faccio. Quando scendo in campo non penso neanche all’età e insieme ai ragazzi giovani mi dimentico tutto, anche dei dolori che ho. Il calcio è la mia passione e lo faccio veramente come se fosse ancora la Serie A, perché ci tengo. Il fuoco ce l’ho dentro e, finché lo avrò acceso, cercherò di essere sul campo e dare una mano ai miei compagni, senza nessuna pretesa sul minutaggio».
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