Stefano Fiore, grande doppio ex di Parma e Lazio degli anni Novanta, è intervenuto nel corso dell’8ª puntata della 5ª edizione di PARMATALK (clicca qui per vedere), andata in onda ieri sui canali web e social di SportParma.com.
L’ex fantasista, che debuttò in Serie A proprio con la maglia dei gialloblù in Genoa-Parma l’11 dicembre 1994, ha così analizzato il successo dei crociati sui biancocelesti: «Al netto di una prestazione buona, gli episodi hanno detto bene al Parma. Ai punti la Lazio avrebbe meritato qualcosa in più. Bravo è stato Pecchia a non perdere l’identità di squadra, che è quella di proporre un gioco più offensivo: ma una squadra che deve tirarsi fuori dalla zona calda, soprattutto al cospetto di squadre più forti, deve fare di necessità virtù. Meno belli e più pragmatici: credo sia una lettura corretta che ha avuto Pecchia».
Da centrocampista offensivo di qualità qual è stato, Fiore si è soffermato sulla prestazione del classe 2005 Anas Haj Mohamed, che ha segnato il 1° gol in Serie A con un colpo di genio degno dei “numeri dieci”: «Si è presentato nel migliore dei modi. Ha fatto un’ottima gara e soprattutto un gol di grande fattura tecnica, che la dice lunga sulle doti di questo ragazzo. Chiaro che una partita non può far testo e lascia il tempo che trova: però, le indicazioni che ha dato lasciano ben sperare. Non è assolutamente comune vedere un ragazzo così giovane con questa personalità. Al momento posso solo apprezzare la fattura del gol, la traiettoria della palla, il senso di aver calciato sorprendendo Provedel senza dargli modo di accennare la parata: sono cose che nessuno t’insegna. Questo ragazzo potrebbe avere un grande futuro davanti a lui: glielo auguro» le parole dell’attuale collaboratore tecnico di Massimo Oddo.
La vecchia consocenza di Udinese, Valencia e Fiorentina,, tra le altre, ha spezzato una lancia in favore dei giocatori “estrosi”, spesso sacrificati in nome dell’equilibrio tattico: «In carriera ho fatto troppo poco quello per cui ero nato, cioè il trequarti o l’interno di centrocampo. Negli anni più belli della mia carriera ero relegato a fare il regista sull’esterno: allora si giocava molto col 4-4-2 e il trequarti veniva sacrificato in fascia. Mi dà molto fastidio quando vengono sacrificati in un ruolo marginale o non fatti giocare a discapito dei risultati. La gente va allo stadio per vedere giocatori che creano gioco, che fanno vedere delle cose che un giocatore più normale non fa vedere. A me il Parma piace molto perché ne ha tanti: tanti bravi, tanti veloci e dotati tecnicamente. E quando vedo un allenatore che prova a far coesistere più giocatori di qualità mi piace molto. Credo che debbano sempre giocare: bisogna trovare il modo di farli coesistere, perché sono quelli che entusiasmano e ti fanno innamorare del gioco del calcio».
La prossima sfida dei ragazzi di mister Pecchia sarà ancora complicatissima: a San Siro contro l’Inter, campione d’Italia, allenato dal suo ex compagno Simone Inzaghi. Come affrontare i nerazzurri?: «Si mette un casco e un elmetto in più… Non sarebbe cosa sbagliata (ride, ndr) – afferma Fiore a proposito della gara di venerdì –. La forza dell’Inter la sappiamo. Però, per il Parma sarà come è stata con la Lazio: cercare di offendere, però con un occhio di riguardo per chiudere gli spazi alla squadra ancora più forte del campionato».
Stefano Fiore – 6 reti e 6 assist in 106 gettoni in gialloblù (in 5.955’ giocati tra la stagione 19994/’95 e il biennio ’97-’99) – ha ricordato anche l’importanza della tappa parmigiana per lo sviluppo della sua carriera, all’interno della quale aveva vinto 2 Coppe Italia e 2 Coppe UEFA (proprio nel Ducato), oltre 1 Interrotto con l’Udinese e 1 Supercoppa Europea con il Valencia: «Parma ha rappresentato tanto nella mia carriera. Sono arrivato da giovane promessa sconosciuta: ricordo il giorno che sbarcai a Parma, nel ’94, c’erano i vecchietti che si domandano chi fossi. Il Parma dopo USA ’94 aveva qualcosa come 18-18 giocatori nazionali, italiani e stranieri. Ho vinto Coppe grazie a una squadra meravigliosa: io ho dato il mio contributo, ma era una squadra formidabile. Se non fosse stata letteralmente stravolta, avrei potuto vincere qualcosa ancora. Io ero il 13°, il 14° perché non era facile giocare in quel Parma: è stata un’esperienza unica. Alla Lazio ero più maturo, più consapevole: a Parma, però, tre anni bellissimi, che conservo gelosamente. Speriamo che il Parma possa tornare non dico a quegli anni lì perché sarebbe troppo, ma che possa essere una realtà che possa far parlare bene di sé».
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