Parma Calcio
New Jersey, Parma e Manchester: quando l’algoritmo non esisteva

L’addio di Giuseppe Rossi al calcio giocato, con tanto di partita celebrativa allo stadio Franchi di Firenze (leggi qui), è il punto di partenza di una profonda riflessione tra il mondo del pallone di ieri e quello di oggi.
Quando gli algoritmi non esistevano, i social erano un’utopia e le tv coprivano solo i principali campionati del mondo. Quando per scovare un gioiellino bisognava macinare chilometri su chilometri, parlare a lungo con le famiglie, avere l’occhio “bionico”, oltre a gente fidata che scandagliava i campi di provincia, anche quelli estranei alle cartine geografiche.
Un mondo che oggi è stato sostituito in gran parte dagli algoritmi e dalle agenzie di procuratori che cercano di vendere il possibile e l’impossibile, rubando il mestiere ai talent scout, riducendo il calcio “robotizzato”ad una cozzaglia di numeri e statistiche senza sentimenti.
I risultati di questa mutazione sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia non è più terra di talenti, o meglio ne sforniamo e ne produciamo pochi, molto pochi. Basta dare un’occhiata alla Nazionale Azzurra per conferme.
Un declino impaziente e ignaro del passato, come se la storia di Giuseppe Rossi (di Cigarini, Dessena, Lupoli e Savi) non fosse mai esistita. Sparita nel nulla. Colpevolmente dimenticata, anche a Parma, dove da tempo si cerca di riportare il settore giovanile ai fasti di un tempo.
La storia di Giuseppe Rossi parte da Clinston, nel New Jersey (Stati Uniti), dove negli anni ’70 papà Fernando si era trasferito dall’Abruzzo, esattamente da Fraine, provincia di Chieti. Una carriera da professore di italiano e spagnolo oltre che allenatore di calcio giovanile (lì ha conosciuto e sposato mamma Cleonide, originaria del Molise).
Una passione, quella per il calcio, che ha trasmesso al figlio Giuseppe il quale sin da subito segna gol a raffica, tanto da costringere il papà a portarlo in giro per il mondo a fare provini e sperare in una chiamata che potesse cambiargli la vita. A 10 anni sbarca a Tabiano Terme: Stefano Donetti, allora allenatore delle giovanili del Salsomaggiore si segna il suo nome su un foglio di carta, ma non se ne fa nulla.
Un anno dopo Donetti vola negli Stati Uniti, guarda caso nel New Jersey, osserva nuovamente il giovane Pepito ma anche questa volta nulla di fatto, il ragazzino è molto interessante ma ancora acerbo e troppo giovane. Il 1999 è l’anno buono: Rossi viene inviato in Italia ad uno stage del Parma Calcio, è “amore” a prima vista; il ragazzo di 12 anni incanta tutti tant’è che si trasferisce nel Ducato accompagnato dal papà, sempre al suo fianco. Gli è bastato un allenamento per convincere tutti, aveva doti di gran lunga superiori ai suoi coetanei.
Anni difficili e duri quelli parmigiani, lontano da casa, ma con un chiodo fisso a tormentarlo: sfondare nel mondo del calcio. Grazie al sapiente lavoro dello staff tecnico del Parma, Pepito sboccia e matura (eccome), dimostrando doti da fenomeno, tant’è che dopo una raffica di gol e trofei nei campionati giovanili attira le attenzioni addirittura di Sir Alex Ferguson e dei suoi osservatori sparsi in tutto il mondo.
Il resto è storia risaputa: il Manchester United, il ritorno a Parma in prestito (con tanto di salvezza) grazie ad una geniale intuizione di Gabriele Zamagna (allora direttore sportivo del Parma), il Villareal, la Fiorentina, il Levante, il Celta Vigo, il Genoa, il Real Sal Lake e la Spal. In tutto 363 presenze tra i professionisti, 132 gol e 42 assist. Mai un’espulsione.
Il periodo in maglia crociata (2007) fu fondamentale per se stesso e per i gialloblù che con Pioli prima e Ranieri dopo (in panchina) centrarono una salvezza sudatissima: 20 presenze, 9 reti segnate e 5 assist in gialloblù. Un rendimento che fece impazzire i tifosi che a fine stagione gli dedicarono un coro: “Giuseppe Rossi resta con noi”. Ma così non fu perché a quei tempi il Manchester United chiedeva una cifra intorno ai 10 milioni di euro per privarsi del giocatore: una somma non impossibile per il Parma di Ghirardi, ma alla fine la spuntarono gli spagnoli del Villareal, più astuti e visionari.
I gravi infortuni alle ginocchia hanno fatto il resto, impedendo a Pepito di raggiungere meritatamente traguardi apparentemente impossibili, ma non hanno certo sbiadito lo splendore di un ragazzo a cui molti giovani di oggi dovrebbero ispirarsi.
