Parma Calcio
C’eravamo tanto amati: Pecchia e il Parma, una storia di 110 partite
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I 991 giorni trascorsi tra il 2 giugno 2022 e il 17 febbraio 2025 rappresentano la più lunga esperienza professionale del Fabio Pecchia allenatore. Un intervallo in cui il tecnico di Formia ha guidato i crociati in 11o partite, di cui 25 in Serie A.
Circa il 42% di queste sono risultate vittorie (46) per il Parma, mentre si equivalgono i pareggi e le sconfitte (32); per quanto più basso sia il campione in massima serie, i numeri depongono a sfavore del mister: 4 vittorie e 8 pari contro i 13 ko, più dei risultati utili combinati. Anche il confronto tra la media punti in Serie A e quella in Serie B non ammette repliche: 0,80 nel primo caso, 1,76 in Serie B (1,55 la media delle gare totali).
IL PESO DELLE IDEE Di certo, Pecchia ha creduto in qualcosa. Primo: il 4-2-3-1 come marchio distintivo, proposto con pervicacia anche nei momenti più difficili, e da cui raramente si è derogato, virando a un simil 4-3-3, che pure non è bastato. Né a lui né al Parma. Secondo comandamento: proporre un gioco arioso e sbarazzino. Ma sul finire dell’avventura era rimasto soltanto un tentativo (6 gol segnati, 19 subiti nelle ultime 9 giornate). In fin dei conti, un calcio che, per funzionare, ha sempre avuto bisogno delle invenzioni dei giocatori di più qualità, venuti a mancare (per infortuni o inadeguatezza) nel momento critico. Tra i 48 giocatori schierati dal 2022, ha creduto più più di tutti in Del Prato (99 presenze sotto la sua gestione), Sohm (93), Man (91) – il più “freddo” con Pecchia, 23 gol – Bonny (91) – il miglior assist-man (15) –, infine Bernabé al 4° posto con 84 partite su 110. Senza infortuni sarebbero state di più, ma il catalano ha anche beneficiato dell’addio di Franco Vazquez, catalizzatore di ogni pallone nella prima stagione di B con Pecchia.
TRA MERCATO E CAMPO, CHE CONFUSIONE Dopo aver vinto (con qualche pareggio e un po’ di braccino) la B nella scorsa stagione, ben presto si è capito che non poteva bastare la stessa proposta di gioco. I 45 gol al passivo, in 25 match, raccontano di una fase difensiva – individuale e collettiva – inadeguata per la Serie A, cui non si è mai posto rimedio. Il tallone d’Achille non è stato sopperito dalla (scarsa) vena realizzativa dell’attacco: solo 7 squadre hanno segnato meno dei 30 gol del Parma. Aggiuntisi gli infortuni, nel vortice è finita anche qualche scelta, dettata dalla confusione o dalla mancanza di fiducia verso certe alternative. Va detto che il mercato non è stato il più valido degli alleati: prima Suzuki, Mandela Keita, Leoni, Valeri, Cancellieri e Almqvist; poi Vogliacco, Løvik, Ondrejka, Pellegrino e lo sfortunato Djuric non hanno portato esperienza e carisma tali da sopperire alle, pur discutibili, scelte del mister, troppo spesso sembrato solo sull’isola. Vero che il calcio, anche in campo, è un sistema complesso di sistema complessi; il calcio vive di caos, e il gioco di relazione, proposto da Pecchia, si proponeva nobilmente di assecondare questo caos per navigarci dentro. Idea rivelatasi troppo ambiziosa, alla fine naufragata.
COSA RESTA Le immagini più vivide non possono che essere quelle presenti, ma tra i ricordi da conservare, legittimamente, resta una Serie B vinta. Il picco emotivo massimo con Pecchia allenatore, che ha portato nella bacheca gialloblù un trofeo, invero, mai ottenuto prima. Per altro, nessuno può disconoscergli di essere stato il volto più rappresentativo di quel campionato: più di Bernabé, di Del Prato, di Man e Bonny, tutti giocatori (chi più, chi meno) da lui valorizzati. C’è anche, se non soprattutto, il suo zampino nell’aumento del valore della rosa crociata da 45,95 milioni di euro, nel giorno del suo insediamento, ai 150,98 odierni (+228,6%).
Alla fine, l’incapacità di imprimere la giusta sterzata è risultata non più tollerabile; le ultime opache prestazioni (5 punti nelle ultime 12, peggio solo il Monza) hanno portato a un’inevitabile separazione.
Pecchia, il cui principale peccato è stato quello di non saper né probabilmente volere cambiare, cede il passo a un nuovo allenatore (Chivu). Per la serie «ci eravamo tanto amati»: morire per delle idee è un’idea davvero affascinante.
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