Avete presente un giovane canguro rosa che fa un salto pazzesco? Difficile da trovare in natura, ma lavorando di fantasia tutto diventa più facile e piacevole da raccontare.
Andate al Giro d’Italia, prendete un ragazzo australiano, mandatelo in fuga per tutto il giorno e a fine tappa vestitelo con la maglia rosa : otterrete Richie Porte, da Tasmania, il nostro canguro rosa appunto.
Il 25enne neoprof della SaxoBank con il 13° posto odierno comanda la corsa rosa confermando di attraversare uno straordinario momento di forma, soprattutto se pensiamo che è al debutto tra i grandi del pedale.
L’avevamo già scritto il 30 aprile scorso in occasione della sua vittoria a cronometro al Giro di Romandia ed oggi ci ripetiamo volentieri ricordando che dietro ai suoi trionfi c’è qualcosa di parmigiano.
Il mio amico Richie, parafrasando un famoso telefilm (anche se quello era Ricky), potrebbe essere l’inizio della descrizione che fornirebbero Giuseppe e Fabio Trinci, Stefano Masetti e l’ingegner Paolo Chiesa, rispettivamente direttori sportivi (i primi tre) e patron della Bedogni-Grassi-Ferrari, cioè coloro che a Parma hanno curato e perfezionato la crescita di Porte nell’ultimo anno da dilettante.
Ora Richie, che stazionava nelle posizioni di vertice già dal prologo di apertura ad Amsterdam, è in maglia rosa. Un risultato che nemmeno lui si poteva aspettare, come ci confidò alla partenza della 6a tappa dal Fidenza Village, incrociando le dita poi quando ci disse che avrebbe provato vivere alla giornata, proprio dopo la tappa di Montalcino, qualora fosse arrivato davanti. Così è stato e lì è rimasto. Anzi ha attaccato.
Ed è così che a l’Aquila, nella città funestata dal tremendo terremoto del 6 aprile dello scorso anno, il Giro d’Italia subisce uno scossone imprevisto in classifica generale durante la sua 11a tappa.
A rendere tutto più incerto e di conseguenza spettacolare è una fuga di 55 unità comprendente, oltre a Richie Porte, anche capitani e comprimari (Sastre, Wiggins, Millar e Gerdemann i più importanti) ma praticamente senza nessun uomo di classifica o serio candidato alla vittoria finale. Almeno ad oggi.
Sì, perché i fuggitivi, quasi un terzo degli atleti rimasti in gara, guadagnano fino a 12’42” (vantaggio che manterranno fino al traguardo) sui più pronosticati big, che lasciano fare incomprensibilmente, nonostante sappiano lo stravolgimento che avverrà.
La Lucera-L’Aquila di 264 km non era data come un innocuo trasferimento di massa, lo si sapeva. Gli appennini si prestano perfettamente alle imboscate ed infatti tutti si aspettavano trappole da e verso Vinokourov in giù, ma è successo l’imponderabile.
Parte la fuga, l’Astana del kazako non cuce subito (anche perché ha la squadra dimezzata dai ritiri), non trova la collaborazione delle altre formazioni di vertice (Liquigas su tutte) e là davanti non gli par vero di poter inscenare un esodo da bollino nero verso l’Aquila, con Porte che virtualmente diventa maglia rosa.
Il Gran Sasso e la Maiella sullo sfondo poi, come contorno, regalano un tempo da lupi che però non aiuta i bracconieri del gruppo a riportarsi sulle tracce dei rapaci di giornata.
La classifica va ridisegnandosi e mentre l’abruzzese Dario Cataldo della Quickstep (anche lui ex Bedogni, con cui ha vinto il Giro baby nel 2006 e che così completa la soddisfazione parmense) tenta invano di vincere la tappa, giungendo poi 2° dietro all’ex predestinato russo Evgeni Petrov della Katusha, il canguro Richie Porte si gusta gli ultimi metri di gara immaginandosi già in rosa. Il balzo verso il simbolo del primato ora è reale, si può vedere, toccare e parlarne. Anche con un po’ di accento parmigiano.