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E luce, tenue, fu. L'Italrugby porta a casa il test match con le Fiji

E luce, tenue, fu. L'Italrugby porta a casa il test match con le Fiji

Mirco Bergamasco salvatore della patria. Le Fiji hanno pagato l'insipienza tattica della ripresa e gli Azzurri ne hanno approfittato molto bene. Ma restano alcuni interrogativi

Tutto è bene quel che finisce bene. L’Italia ha vinto almeno una partita e dunque salva l’onore. E così sorridono un po’ anche gli Aironi, oltre ad un pubblico modenese bello carico, quella parte rappresentata in azzurro, che si spera presto o tardi possa sorridere pure allo Zaffanella. Ci siamo dovuti aggrappare alla precisione chirurgica di Bergamirco (8/8 roba da far invidia a Dominguez) perché pur migliorando la manovra d’attacco, nella ripresa, non si è riusciti a segnare quella stramaledetta meta a quel punto meritata. L’Italia del secondo tempo è piaciuta ma non si può non entrare nella prestazione delle Fiji. Un primo tempo in cui hanno fatto vedere i sorci verdi agli azzurri, il trequarti del Tolone Lovobalavu su tutti, con un possesso palla maniacale con gli azzurri che concedevano troppi metri sui placcaggi. I loro sedici punti sono tutti del primo tempo. Fiji bene dal punto di visto possesso e fisicità, ma tatticamente nulli. Se per ottanta minuti fai sempre e solamente lo stesso tipo di gioco, e non calci mai per tenere lontani gli avversari, questi arrivano a prenderti le misure e a gasarsi, ciò che hanno fatto puntualmente gli Azzurri, oltre a punire la loro indisciplina dovuta all’inevitabile calo fisico. L’ultimo accadimento è quello che rimane impresso e quindi bene che la vittoria sia arrivata all’ultimo test match. Restano però sempre degli interrogativi, o considerazioni, da parte di chi, per dirla alla Nick Mallett nel dopo partita (frase che tutti noi ci siamo persi sul campo e andata su Sky), non capisce un ca..o di rugby (questo perché nel rugby il rispetto è uno dei principi cardine).
I test match sono l’occasione per vedere all’opera giocatori su cui si può costruire un futuro. Tommaso Benvenuti veniva da un paio di mesi giocati ottimamente sia in Celtic che in Heineken Cup come primo centro, cinque mete, e Mallett lo ha premiato con la convocazione e addirittura con l’esordio. Evviva il coraggio, che diamine! Sì ma, perché all’ala? Non valeva la pena provarlo lì dove sta facendo bene? Considerando quanti palloni l’Italia fa mediamente arrivare all’ala … Si parla tanto di sinergie … Altra considerazione. In mancanza o ristrettezza di giocatori in determinati ruoli, è giusto chiamare chi in quel momento sta dimostrando di essere in un buon momento? Partiamo da lontano. Gori sarà probabilmente, glielo auguriamo, il futuro azzurro in quel ruolo, magari in coppia col nostro Tebaldi del quale è decisamente più rapido sui punti, ma è stato fatto esordire dopo otto mesi di inattività. Rischio calcolato? Va benissimo. Perché, però, non affiancargli uno come Burton, che tra l’altro sta giocando piuttosto bene, col quale ha giocato insieme a Prato ed ora si allena, in attesa di poter esordire in Celtic, a Treviso? Tanto più che Orquera era stato messo nel dimenticatoio quando sarebbe servito e stava giocando bene a Brive. Mallett ha cambiato cinque aperture titolari, di cui due “inventate”, da quando siede sulla panchina azzurra. E’ vero che non abbiamo quella gran qualità, ma identificarne uno, o due, e lavorarci.
Oltre al gioco, dunque, che comunque non decolla, sono state le scelte fatte in questi anni da Mallett che hanno lasciato molto a desiderare. In questo mese erano circolate voci su cambio pre-mondiale, o meno, e di un eventuale “traghettatore”. Ora tali voci saranno sopite: l’Italia ha bisogno di capitani di vascello, non di traghettatori. Se c’era un momento, eventualmente, per dire arrivederci e grazie a Mallett, quello era non tanto dopo il 6Nazioni 2008, con Masi apertura, ma quello successivo (Bergamauro fatto ridicolizzare agli occhi del mondo). Oltretutto venendo a pontificare sulla povertà tecnica italiana eccetera eccetera: sapeva dove andava ad allenare. Ora arriverà fino dopo il Mondiale nella speranza che il lavoro sia partito da lontano, nel senso che se la buona organizzazione difensiva è la base per attaccare, ora che abbiamo quasi sistemato questo aspetto, c’è il caso che si cominci a fare meglio sui lanci del gioco, perché se i miglioramenti consistono nel fare dieci fasi di possesso per andare da poco dopo la metà campo alla linea dei ventidue o nel non riuscire ad intuire la giocata giusta a cinque metri dalla meta, ma qui tocca anche all’abilità dei singoli (il famoso momento tattico), rimarremo sempre al n.12 del ranking mondiale. Il 6 Nazioni alle porte, lì ci misureremo la febbre (sperando che diminuisca la quantità di persone che non capiscono un ca…o di rugby …).

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