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Pandev: «Parma grande piazza, mi sono ambientato benissimo»

Pandev: «Parma grande piazza, mi sono ambientato benissimo»

 Un’ora di sorrisi. E qualche risata. Il “Meet&Greet by Cetilar”, nella versione online, è stato un successo. Per i più piccoli, per le tifose e per i tifosi di Parma (e non solo). La location: la sala stampa del centro sportivo di Collecchio per lui e le abitazioni o gli uffici per i tanti supporter nel mondo che si sono collegati. L’attore protagonista è un uomo che con il calcio ha fatto e fa emozionare: Goran Pandev.

Disponibile, sorridente, gentilissimo, ecco l’attaccante macedone che per la prima volta si fa intervistare dai tifosi crociati che hanno conquistato il contest e non si sono fatti sfuggire l’occasione per fare due chiacchiere direttamente con lui. Come sottolinea Stefano, che si collega con la maglia del Parma addosso e i colori gialloblù stampati sul cuore: “Da tifoso sono contento di avere un altro campione come te qui a Parma, anche se non sempre posso essere al Tardini per vederti da vicino”.

La prima immagine è la più bella per Goran: ci sono tanti bambini del Settore Giovanile gialloblù di fronte a lui che, a rotazione, gli rivolgono un sacco di domande. Senza filtri. E Goran, divertito, risponde. A cominciare dal portiere più forte che ha incontrato nella sua carriera. “Ragazzi, il portiere più forte del mondo adesso gioca con me e si chiama Gigi Buffon”. Da un campione all’altro: chi è il tuo idolo di sempre? “Alla vostra età il mio calciatore preferito era Dejan Savicevic. E’ stato un grande campione, mi piaceva il suo modo di giocare. Era un mancino, giocava per la squadra del mio cuore: la Stella Rossa Belgrado”. Lo incalzano: sei più forte di lui? “No no, io mi accontento della mia carriera”. Sorrisi.

Gli chiedono di tutto: dal giorno del suo esordio alle emozioni nel dire addio alla Nazionale macedone, da chi vince Italia-Macedonia (“Spero la Macedonia, ma è una partita secca e può succedere di tutto. Io tifo Macedonia”) fino a cosa ha provato quando ha vinto il Triplete e anche sugli aiuti che lui rivolge ai bambini del suo paese (“Ho una scuola calcio per i più piccoli. La Macedonia è un paese piccolo e povero, spero di poterli aiutare attraverso il calcio e un giorno mi piacerebbe che qualcuno potesse giocare al di fuori del paese”). Anche se la domanda più gettonata di tutte è un’altra: qual è stato il gol più bello della tua carriera? Ma Pandev, da grandissimo attaccante, si smarca sempre: “Ne ho fatti tantissimi, difficile sceglierne uno”.

I bambini, così come le tifosissime Diletta e Marina, collegate subito dopo, vogliono sapere tutto della sua nuova esperienza crociata. E Goran racconta: “Mi sono ambientato benissimo. Ho trovato una grande famiglia, mi sento a casa. Parma è una grandissima piazza; sia la squadra che il mister e tutto l’ambiente mi hanno accolto alla grande e sono felice di essere qua”. Stefano gli chiede se della rosa c’è qualcuno che lo ha impressionato: “Sì, tanti. A Parma ho trovato giovani molto forti. Ne cito un paio, ma non voglio scontentare nessuno: Benedyczak è molto bravo, ma anche Bonny, che è un 2003, se lo vedi in allenamento fa cose impressionanti”. Con una tifosa parmigiana si scherza: “Visto che sei seduta dietro la panchina del mister, digli di farmi entrare quando mi vedi in panchina”. Risate. “Scherzo, naturalmente, l’importante è vincere, non se gioco o meno”. Poi, però, l’argomento torna serio: “Ho cambiato a metà stagione perché è stata importante la volontà che qui mi volevano davvero, è la scelta giusta per me. Peccato per l’infortunio, non ci voleva davvero e mi è dispiaciuto saltare tante partite così ravvicinate”.

C’è un suo connazionale macedone, un tifoso che gli fa domande in inglese e tanti tifosi che gli chiedono del suo passato. Già, perché, nonostante oggi Goran indossi la maglia crociata, è rimasto nel cuore dei sostenitori a cui ha fatto battere il cuore con le sue giocate e i suoi gol. E Simone, infatti, prova a chiedergli cosa non ha funzionato a Genova: “Non giocavo tanto, qui appena sono arrivato ho fatto un lavoro specifico. Mi sentivo meglio e l’infortunio, ripeto, non ci voleva proprio”.

 

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