In esclusiva per SportParma, il centrocampista Nahuel Estévez si è raccontato in un’intervista “a tutto campo” ai nostri microfoni.
Dall’esordio italiano, proprio al Tardini, alla sua esperienza a Parma, realtà in cui s’è inserito benissimo anche grazie al suo carattere placido ma risoluto. Dopo l’allenamento mattutino, il 27enne di Buenos Aires ha raccontato il clima che si respira nello spogliatoio crociato, il rapporto con attuali ed ex compagni di squadra e il suo modo di intendere la vita, dentro e fuori dal campo.
Nahuel, se ti dico 25 ottobre 2020?
«Quando ero arrivato a La Spezia. Ho giocato qua, a Parma, la mia prima partita in Serie A, abbiamo pareggiato 2-2. Ricordo. Ho fatto un tiro e ho preso il palo. Si vede che non dovevo fare gol. Sono entrato, stavamo vincendo 0-2 e abbiamo fatto 2-2. Voleva dire che ho giocato per il Parma in quell’occasione».
A Parma sei arrivato un po’ in silenzio, ma hai conquistato tutti, Pecchia per primo. Che rapporto hai con il mister?
«La cosa più importante per un allenatore è essere una brava persona. Quando ti parla (Pecchia, ndr) vedi che è una persona onesta. E da calciatore questo ti fa sentire bene. C’è un bel rapporto, lo ha con tutti. Come ti dico, è una buona persona. Per fortuna queste ultime partite stanno dimostrando che la squadra va bene: abbiamo sempre avuto un buon rapporto con lui. Noi dobbiamo sempre stare preparati per la partita, ma non sappiamo mai chi gioca. Alla fine hanno giocato quasi tutti: allora, vuol dire che l’importante è sempre la squadra e non il singolo».
E la città, invece, ti ha conquistato? Cosa ti piace di più della vita a Parma e, in generale, in Italia?
«Di Parma mi piace il Parmigiano! La città è bellissima, mi sono trovato molto bene, anche mia moglie, ed è importante anche come si trova la famiglia. Con la gente, per strada, ho un bel rapporto. La città mi piace, sei vicino a tutto. Abbiamo tutto qua».
Sei il giocatore con più presenze (35) tra campionato e Coppa Italia, il terzo (dopo Vazquez e Delprato) per minuti giocati nel totale (2.437’). Ti aspettavi un ruolo così di primo piano?
«Ho sempre fiducia in me stesso. Ma io veramente sono venuto qua per aiutare. Sapevo che c’erano grandissimi giocatori: io ero venuto qua per dare un piccolo aiuto, diciamo così. Sono contento per i minuti che ho, ma mi fido di me stesso».
In campo Estévez è l’«animo equilibrato» della squadra: determinato, mai sopra le righe, calmo. E fuori dal campo?
«Anche fuori dal campo sono una persona tranquilla. Penso che parlo più in campo che fuori (ride, ndr). Fuori non parlo tanto. Sono una persona tranquilla, mi piace la serenità. Non ho una personalità “esaltata”. Faccio un po’ di meditazione, l’ho imparato con il mio psicologo, Marcelo Bivort: con lui ho cominciato da 3-4 anni, ha cambiato tanto la mia carriera. Mi ha aiutato tanto. Cerco la serenità fuori dal campo».
Il campionato del Parma è stato per lo più discontinuo. Per quali motivi secondo te?
«Siamo una squadra di tanti giovani, è normale che per trovare l’equilibrio tante volte ci vuole l’esperienza. Ci sono qui in mezzo tanti giovani, io no, ma ci sono tanti giocatori giovani che è normale possano avere questa discontinuità. Penso che in questo periodo abbiamo imparato, siamo maturati come squadra: ora leggiamo meglio la partita. Siamo una squadra che sa quando attaccare, che sa quando difendere, guadagnare tempo: tutte cose che s’imparano col tempo. Ma penso che noi dobbiamo continuare a farlo, perché ‑ dico sempre ‑ ci vuole tanto tempo per costruire e 90 minuti per distruggere tutto. Se ora pensiamo che siamo dei fenomeni, perché abbiamo fatto bene qualche partita, è una… “cavolata”».
C’è stato un momento o un episodio che ha unito lo spogliatoio?
«La squadra è sempre stata unita. Sono veramente tutti bravi ragazzi. Noi è dal primo minuto che abbiamo un buon rapporto, tutti con tutti. Certo che, quando arriva la vittoria, sembra che la squadra sta bene. Ma la squadra “dentro” è sempre stata bene. Poi, i momenti di difficoltà formano il carattere, l’unione, lo stare insieme anche con i tifosi. Stare tutti uniti. È bello quando tutti andiamo con il medesimo obiettivo, la gente con i tifosi: ma noi dobbiamo dimostrare questo in campo. Noi abbiamo dimostrato l’atteggiamento e la voglia: tante volte si può giocare bene, tante volte si può giocare male ma, quando la gente vede che è una squadra che s’impegna e che lotta fino alla fine, la ricompensa arriva. E penso che noi abbiamo dato quel plus per cambiare nel momento giusto e s’è visto».
Con Ansaldi tu vai molto d’accordo. Ma è vero che nello spogliatoio non mettete la musica perché canta sempre lui?
«La musica la metto io, ma Ansaldi canta tutto il tempo. Quello è incredibile: lui si sveglia alle 7 del mattino e comincia a parlare. E si ferma all’1 del mattino quando si va dormire. Non smette mai di parlare. Canta bene, ma sempre la stessa canzone. Basta, dai (ride, ndr). Uno alle 8 del mattino non può cantare… Pensa a Vazquez che non parla dalle 2 del pomeriggio e pensa a quello che parla dalle 7 del mattino. Lo vuole ammazzare (ride, ndr). Grande Ansaldi!».
Già che ci siamo, che genere canta Ansaldi? E che genere, invece, vorresti ascoltare tu?
«Ansaldi canta romantico, si dice così qua? Musica melodica. A lui piace quello. A me piace invece più il reggaeton o il rock, che in Argentina si ascolta. Lui è più melodico».
Hai giocato anche 18 partite all’Estudiantes con Mateo Retegui, di recente naturalizzato per la nazionale italiana. Il tema dei calciatori oriundi spesso, qui da noi, fa discutere…
«Mateo lo ha dimostrato nella Liga argentina che è molto difficile, sembra di no ma lo è. È stato il cannoniere due anni consecutivi; io sono stato con lui all’Estudiantes e posso dire che il suo merito è che tutti i giorni lui voleva imparare qualcosa. Ha migliorato tantissimo rispetto a quando eravamo insieme, e questo è un merito. Lui continuerà a migliorare il suo gioco, perché punta sempre a quello. Poi, sul cercare i giocatori di altre nazionalità: per me Mateo lo merita; a me piace come attaccante, penso che sia un attaccante per l’Italia. Io sono un argentino e non sono troppo indicato per parlarne: bisogna sentire un italiano cosa sente se convocano un argentino o uno spagnolo. In Argentina non succede tanto, perché in nazionale giocano tutti argentini. Nel calcio la cosa più importante è il risultato: prima che (Mateo, ndr) giocasse c’era qualche critica attorno a lui; poi è arrivato, ha fatto due gol e parlavano tutti bene di lui. Come sempre, nel calcio ciò che importa è il risultato. Se l’Italia vince e Mateo fa gol, è un fenomeno; se non fa gol, ti dicono perché non è italiano, perché non sente la maglia, ecc. Ma a questo noi siamo abituati».
Tanta esperienza in Argentina con Sarmiento e soprattutto con il Pincha. Poi lo Spezia ha battuto la concorrenza e ti ha portato qua. Ti senti un giocatore da calcio europeo?
«Da bambino il mio sogno era giocare in Europa: in Italia, in Spagna è sempre stato il mio sogno. Quando sono andato allo Spezia ho giocato una trentina di partite, poi non mi hanno riscattato. Il mio sogno era rimanere qua. Ma avevo capito che l’Estudiantes voleva una compra, tante squadre potevano fare un prestito e loro non lo accettavano; io ho capito l’Estudiantes. Però, quando è arrivata l’offerta del Crotone io ho accettato perché volevo rimanere qua perché mi piace il calcio italiano, mi piace il calcio europeo, mi piace la vita qua. Sono contento di stare qua. Penso che per me sia più facile giocare qua che non in Argentina. Là ci sono tante frizioni, molto più fisico… Gli arbitri non fischiano tanto, diciamo. Poi, adesso c’è il Var. Ma mi ricordo quando sono arrivato a La Spezia, avevo giocato 5 o 6 partite: altrettante ammonizioni. Mi dissero: “Fermati un po’”. Dopo ho capito che andavo in contrasto troppo forte e mi sono fermato un po’».
Con gli arbitri hai un bel rapporto…
«Sì sì, gli rompo un po’ le scatole. Ma lo devo fare».
Ultime quattro partite a cominciare dal Benevento. Poi, probabilmente playoff. E poi?
«Noi dobbiamo vedere questa partita perché è troppo difficile. Loro sono una squadra che ha esperienza; stanno in un momento di difficoltà, quindi vorrà dire che giocheranno al 100%. Noi non dobbiamo pensare ai playoff, dobbiamo pensare partita per partita. Senza pensare che adesso siamo fenomeni: siamo la stessa squadra che ha cominciato, siamo maturati come squadra, ma non dobbiamo pensare troppo in avanti perché quello fa confondere un po’».
Un bilancio del primo anno a Parma?
«Quello meglio farlo quando finisce la stagione. Comunque positivo, sicuro, sia per la città sia per il club. Dico sempre che è un club stupendo. Noi come giocatori abbiamo tutto per migliorare, tutto. Abbiamo tutto qua. E dobbiamo continuare a lavorare e a crescere».