L’ex calciatore e criminale Fabrizio Maiello (56 anni), in un’intervista al sito gianlucadimarzio.com, ha parlato della sua vita tormentata e della folle idea di rapire Gianfranco Zola, ai tempi del Parma, e chiedere un riscatto all’ex presidente Calisto Tanzi.
“All’epoca a Milano c’era la Banda della Comasina, guidata da Vallanzasca – racconta Maiello al giornalista Giacomo Chiuchiolo -. I fratelli più grandi dei miei amici la frequentavano e loro stessi entravano e uscivano di galera. Non sono nato delinquente, lo sono diventato” dopo un grave infortunio al ginocchio, ai tempi della Primavera del Monza, che lo costrinse a lasciare il mondo del calcio professionistico.
““In poco tempo ho superato anche i miei amici in quanto a reati. Avevo bisogno di trovare qualcosa che sostituisse l’adrenalina che provavo in campo, per questo ho iniziato con la cocaina e le rapine. Sono rimasto in carcere un anno, poi uscito ho iniziato a fare ancora peggio di prima”. nel 1991 finisce nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia.
Nel 1994 la folle idea di rapire il suo idolo, Gianfranco Zola: “In quel periodo ero latitante – ricorda Fabrizio – ero con altre persone, tutte appassionate di calcio. Giravamo tutta l’Italia e siamo andati a vedere qualche allenamento del Parma. Zola in quel periodo era il giocatore più rappresentativo della società. Ci era venuta questa idea: un rapimento lampo di 24/48 ore per richiedere il riscatto a Tanzi. Ci sembrava una bella opportunità. Lo avremmo seguito con due macchine per speronarlo in strada e farlo salire sull’altra vettura. Lo stavamo seguendo quando si è fermato ad un distributore di benzina. Siamo scesi anche noi, volevamo aspettarlo. Gianfranco però ci è venuto incontro, sorrideva e ci ha chiesto se volessimo un autografo. È in quel momento che ho pensato ‘ma cosa sto facendo? Ma lasciamo stare’. Abbiamo scambiato due parole, gli ho detto che ero un tifoso del Napoli e gli ho chiesto un autografo. Gli ho dato la mia carta d’identità, me l’ha firmata, ma il suo sguardo è cambiato: si è irrigidito. I miei compagni mi dicevano di speronarlo, io non volevo. L’ho seguito per un paio di chilometri, poi ho suonato il clacson, l’ho salutato e l’ho lasciato andare“.
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