Nel bene e nel male, la storia di Calisto Tanzi, morto nella notte all’Ospedale Maggiore (leggi qui), è strettamente legata a quella del Parma Calcio.
Una storia per certi versi fiabesca, per altri da film horror. Trame che si attorcigliano tra loro fino a generare un groviglio di ambizione smisurata, voglia di stupire e ribaltare il mondo, soldi a palate e trionfi impensabili. Una squadra di provincia che fino agli anni Novanta navigava tra Serie B e C, lontana dai grandi palcoscenici e dal calore inebriante delle coppe europee. L’impossibile che diventa possibile. Un castello costruito su una montagna di debiti e menzogne, grazie a compiacenza e omertà di una parte della città che banchettava festante e incurante del disastro a cui stava partecipando indirettamente.
Poi la politica, le banche, i documenti falsificati, i debiti stratosferici, i risparmiatori truffati e tutto il resto, comprese le aule del tribunale, il carcere, l’ospedale e l’esilio forzato nella sua villa alle porte della città. Il declino dell’impero del latte, compreso quello di centinaia di persone che il giorno dopo sono scese dal carro dell’ex vincitore e come “narcotizzate” hanno provato a cancellare tutto, disconoscendo il benefattore Calisto. Solo un brutto sogno.
“Il tesoro di Calisto siamo noi” cantava ironicamente la Curva Nord poche settimane dopo l’arresto di Tanzi nel 2003. Ironia che si mescolava alla dura realtà di quei giorni con i finanzieri che cercavano i soldi dell’ex patron della Parmalat in giro per il mondo.
Alla fine il crac ha spazzato via tutto, preservando solo qualche sporadico aspetto positivo: tra questi il calcio e il Parma Calcio.
Perché, malgrado tutto, la storia del Parma e di molti giocatori è strettamente collegata all’era Tanzi. Alle sue intuizioni, alla capacità di creare una struttura dirigenziale e tecnica che scovava e cresceva giocatori di talento, dagli sconosciuti al Pallone d’Oro. Una miniera di campioni (allenatori compresi) e signor nessuno, elencarli tutti richiederebbe un articolo a parte.
In quegli anni si costruì una mentalità vincente che sprigionava una forza mai vista, un calcio diverso, vincente, ragionato, entusiasmante. Il calcio di provincia che ribalta gerarchie decennali. Il nome di Parma in cima all’Europa. Le prime pagine dei principali giornali interazionali tappezzate di giallo e blu. I miracoli che diventano realtà. Trofei e mitologia calcistica (3 Coppe in 100 giorni). Lo stadio Tardini come luogo di “culto”. Spettacolo mozzafiato. Giorni indimenticabili e impossibili da replicare.
Ed è proprio questo il punto, perché l’eredità che ci ha lasciato la famiglia Tanzi è una medaglia dai due volti: da una parte luccica come l’oro, dall’altra è sbiadita e arrugginita. Perché quella mentalità vincente ha infettato gli anni a venire, come se il Parma fosse rimasto prigioniero del suo passato. Prigioniero di una mentalità che ha alterato la percezione della realtà e portato al fallimento del 2015. In verità quell’esperienza doveva rappresentare la pietra miliare di un nuovo mondo, di un nuovo modo di fare calcio, più sostenibile, partendo dal basso, dalle proprie origini. Ma questo non è mai avvenuto, se non negli ultimi anni e per un brevissimo lasso di tempo.