Il fortino è stato abbattuto dopo 81 minuti, al primo errore, cioè dopo un fallo in area di rigore di Gagliolo, il migliore in campo fino a quel momento. Lo 0-2 finale (leggi qui) è una punizione eccessiva per il Parma che, davanti al presidente Lizhang (prima presenza stagionale al Tardini), ha tenuto testa ad una Lazio di un altro livello. Ed è proprio questa considerazione la nota positiva e confortante della sconfitta odierna: questo Parma, pur senza Gervinho e con Inglese a mezzo servizio (oltre a tutti gli altri infortunati), ha confermato di avere i mezzi e il coraggio di giocarsela contro chiunque, pur mantenendo un atteggiamento difensivista per lunghi tratti della gara. Un atteggiamento indispensabile quando di fronte hai “giocolieri” come Milinkovic-Savic, Lulic, Correa, Immobile e devi accettare di lasciare il pallino del gioco nelle loro mani. Il Parma di D’Aversa, sempre fedele al 4-3-3 (o 4-5-1 in fase difensiva), ha giocato la “solita” partita accorta, puntando su corsa, pressing, seconde palle e uno spirito battagliero che sembra il marchio di fabbrica di questa squadra, ancora orfana di giocatori importanti che possono offrire importanti alternative e variazioni tattiche anche a gara in corso.
Non è un caso, infatti, che nel primo tempo Sepe abbia compiuto una sola parata su Patri. La musica è cambiata nella ripresa a causa di una serie di circostanze, in primis le sostituzioni decisive di Inzaghi che ha ribaltato i suoi con gli ingressi di Correa (gol) e Berisha (si è procurato il rigore), a differenza di D’Aversa che non è riuscito ad ottenere il massimo da Biabiany, Ceravolo e Ciciretti. L’altro aspetto determinante, oltre all’errore di Gagliolo, è stato l’evidente calo fisico di Stulac, reduce dagli impegni con la propria Nazionale e non al 100% della condizione, che di fatto ha consegnato le chiavi del centrocampo alla Lazio.
Per il Parma è la quarta sconfitta stagionale, nessun dramma, anche perché a parte quella con la Spal, le altre sono arrivate contro Juventus, Napoli e Lazio, le prime tre in classifica. Insomma, la parola d’ordine resta “ottimismo”.