Evidenza, analisi, sintesi, enumerazione/revisione. Sono queste le quattro regole che formano il celeberrimo metodo elaborato dal filosofo moderno Renato Cartesio (o, per gli amici francofoni, Réné Descartes). Un metodo che è la risultante di razionalismo, empirismo e scetticismo e che invita a dubitare di ogni tipo di conoscenza sensibile e non solo. Il metodo come come quel criterio di orientamento che guida l’uomo in ogni campo teoretico e pratico. E – perché no – anche nel calcio: Luca Mora, calciatore parmigiano classe 1988 in forza allo Spezia, ne è un chiaro ed evidente esempio. L’ex centrocampista di di Castellarano, Crociati Noceto Pro Patria, Alessandria e Spal, da pochi giorni ha conseguito la laurea in Studi filosofici, presso l’Università di Parma, a pieni voti (108 su 110).
Il traguardo raggiunto non poteva non essere oggetto di un più attento approfondimento per la redazione di SportParma, a cui Mora ha confidato non solo la sua passione per la materia, ma anche le sue riflessioni circa il momento attuale del calcio italiano e i suoi ricordi che lo legano, in parte, alla squadra della sua città.
Dottor Luca Mora. Suona bene. Non sarà la prima intervista dopo la laurea in Studi filosofici. Ma di sicuro è la prima concessa a un intervistatore, come te, filosofo…
«Davvero. Ne ho già fatte altre, ma così è la prima volta che mi capita».
Partiamo dal principio: l’amore per la filosofia. Perché?
«La questione è semplice: il merito è tutto della professoressa che ho avuto nei miei quattro anni di studio al liceo Marconi e del professore, in quinta superiore, a Verona: entrambi mi avevano fatto avvicinare alla filosofia. Dopo le scuole, non sapendo ancora come si sarebbe sviluppata la mia carriera, volevo fare qualcosa che mi piacesse e non che avesse sbocchi lavorativi. A scuola non ero uno che studiava tanto, a dire la verità. Ma su filosofia e storia mi sono sempre impegnato a fondo e mi sono appassionato. Filosofia mi ha aperto la mente».
Con le opere di quale grandi pensatore ti “intrattieni” più spesso nelle tue letture?
«Più che leggere le opere dei filosofi, mi piace molto cogliere la filosofia negli aspetti comuni, ad esempio nei film. Una corrente che mi ha ispirato è stata l’empirismo, un pensiero che si traduce nella pratica. Dico che bisogna fidarsi dei filosofi, perché la materia può essere accessibile a tutti».
Come si comporta, in campo, nello spogliatoio e anche nella vita, un calciatore che ha studiato la filosofia?
«Si sa che noi filosofi veniamo presi un po’ di mira. Fortuna che mi piace divertirmi e scherzare. Avendo ora una certa età, noto che da parte dei miei compagni più giovani c’è rispetto verso la mia persona. A calcio, se posso mettere la mia esperienza al servizio del gruppo, lo faccio volentieri. Diciamo che con gli studi che ho fatto nello spogliatoio mantengo un po’ di equilibrio in quelle che possono essere le situazioni di difficoltà. La filosofia mi aiuta ad analizzare le situazioni con metodo. Come farebbe Cartesio».
Un allenatore “filosofo” che ti è capitato di incontrare?
«Non ho avuto nessun allenatore con questa peculiarità. Ma qualcuno c’è stato: Scopigno era chiamato “il filosofo”, Orrico ha studiato filosofia. Poi, tra quelli più attuali, direi forse Dino Pagliari. In un altro sport, come il basket, sicuramente Phil Jackson».
Venerdì sera il tuo Spezia, in Serie B, sarà la prima squadra a scendere in campo, nell’anticipo contro l’Empoli. Che sensazioni provi?
«Stiamo vivendo una situazione mai vissuta: stare fermi tre mesi e dover ripartire per giocare 10 o più partite (in caso di playoff) fa strano. La sensazione è come se fosse la prima di campionato. Ma ora non c’è tempo per fare errori. Prima dello stop venivamo da un periodo non molto positivo: dovremmo essere bravi a ricordarci che nelle ultime quattro gare avevamo fatto malino».
Ti sei mai domandato che senso avesse ricominciare a giocare? Heidegger avrebbe parlato di una condizione di «gettatezza» dell’uomo nella realtà che lo circonda: vale anche per voi giocatori?
«Ci siamo ritrovati con un campionato sospeso, come solo forse ai tempi della Guerra poteva essere capitato. C’è stata una sensazione di impotenza: non potevamo che stare in casa. La frase di Sacchi “Il calcio è la cosa più importante tra quelle meno importanti” mi piace molto: il calcio era scivolato via dai nostri pensieri, ma è pur sempre un elemento attorno al quale ruota la passione e l’interesse degli italiani. Inoltre, c’è tanta gente che vive di e con il calcio: noi giocatori siamo una minima parte. Ecco perché io sono sempre stato dell’idea che si dovesse ricominciare a giocare».
Simbolo, idolo e capitano della rinascita della Spal, portata dalla C1 alla Serie A. Una sorta di super-uomo nietzscheiano. Pochi anni fa il Parma fu costretto a ripartire dalla D, dopo il fallimento: non ci fu mai una proposta?
«Una proposta ufficiale non c’è mai stata. Io sarei venuto molto volentieri a Parma – perché è la squadra della mia città, perché da bambino l’ho sempre tifata e perché sarebbe stato un motivo di blasone – anche in Serie D. Ma ci siamo sempre rincorsi: l’anno che il Parma è ripartito dalla D, io ero andato in C1 alla Spal e l’anno successivo il Parma era stato promosso, ma anche noi eravamo saliti in B. Mi ricordo che i due ds dell’epoca (Minotti e Galassi, nda) erano venuti a vedere tante partite a Ferrara e avevano parlato con il ds Vagnati. L’unico momento in cui c’è stato un piccolo interesse è stato nel mercato autunnale del 2017/2018: avevo letto qualche articolo che mi accostava al Parma, ma nulla di fatto. Sono andato in B comunque, accettando lo Spezia dove mi trovo benissimo. Non ho rimpianti, anche perché essere profeta in patria non è mai facile».
All’inizio della carriera hai giocato nei Crociati Noceto, in C2. Molti dei tuoi compagni di allora adesso calcano i campi dilettantistici, altri hanno smesso. Sei ancora in contatto con qualcuno di loro?
«Abbiamo creato di recente un gruppo Whatsapp con i giocatori dei Crociati Noceto. Mi è capitato di incontrare Coppola e Miftah negli ultimi tempi. Con Castagnetti abbiamo condiviso il percorso nella Spal. Poi c’è Addona che me l’ero ritrovato a Ferrara, perché faceva l’insegnante universitario lì: lui è un vero genio della matematica».
Chiudiamo con un rimando alla tua tesi di laurea, uno scritto di filosofia del linguaggio sui mondi possibili. Prova a immaginarti un “mondo possibile” per il calcio, professionistico e dilettantistico, post epidemia.
«Il sistema calcio va ripensato. Il problema è capire in quali modalità. Credo che, così come nella società c’è la redistribuzione delle risorse, nel calcio bisogna trovare un sistema autosufficiente. I diritti tv e i soldi delle imprese sono una parte fondamentale, ma il sistema non può dipendere solo da quello. Bisogna trovare un giusto equilibrio tra gli interessi delle grandi potenze e del resto delle società. Non accentrerei tutto il potere sulla Serie A: darei più risorse ai settori giovanili e ai dilettanti. In Germania, a fine anni Novanta, dopo alcuni fallimenti ai Mondiali, hanno riformato e negli anni hanno raccolto i frutti; mentre, in Italia sembra sempre che “tutto cambi affinché tutto resti com’è”».
(Si ringrazia Gianluca Parenti, addetto stampa AC Spezia, per la collaborazione)