Oggi, sabato 26 giugno, ore 18,30, stadio Breda di Sesto San Giovanni, appuntamento con la storia: i Panthers giocano il loro terzo Superbowl in cinque anni dopo quelli persi nel 2006 e nel 2007.
Ultimo ostacolo sulla strada per il tricolore gli Elephants Catania, unica formazione capace di battere in regular season gli uomini di Papoccia, nell’occasione privi degli americani in una gara ininfluente ai fini della classifica. Il rooster dei Panthers raccoglie due generazioni: da un lato la vecchia guardia, i veterani, guerrieri di mille battaglie; dall’altro i giovani, davvero tanti quest’anno, cresciuti nelle pluridecorate giovanili ducali. Analizziamo quindi le sensazioni e le attese della vigilia nelle parole di un veterano, il quasi 42enne Lino Maschi, e nei pensieri di un giovanissimo protagonista, il 19enne Alessandro Malpeli Avalli. Esperienza ed esuberanza a confronto con un comune denominatore: la passione.
LINO MASCHI
Piacentino classe 1968, alla quarta stagione alla corte dei Panthers dopo aver militato in quasi tutte le formazioni del nord italia. Maglia numero 57 della offensive line (la linea di giocatori schierati a difesa del quarterback nella formazione di attacco), è al suo secondo Superbowl in maglia nero-argento.
Lino, con che stato d’animo vivi l’attesa per il Superbowl?
«Sento una tensione bellissima, una sensazione che bisognerebbe chiudere in una bottiglia da stappare e gustare in futuro. Quelli come me, che lavorano tanto per ricoprire al meglio un ruolo che non ti porta certo agli onori della cronaca, provano grande soddisfazione nella consapevolezza di essere parte di una famiglia. Si creano legami quasi di sangue con i compagni, legami che giustificano un impegno che per chi ci vede dall’esterno diventa inconcepibile a fronte dei sacrifici che si devono sopportare. Questo sport rimane il capostipite degli sport minori; tanti come me giocano senza incassare un euro, anzi spesso è il contrario. Certo qualche mercenario c’è, anche non americano, ma siamo comunque lontani dai livelli di altri sport, al cui paragone l’ingaggio dei nostri stranieri è veramente poca cosa».
Tanta passione e tanti sacrifici, non solo sul campo. Come ci riesci?
«Io lavoro nel commercio, ho un bimbo di sei anni, non è facile conciliare lavoro e famiglia con gli impegni di questo sport: devi togliere tempo a tutto il resto per poterti allenare 4 volte a settimana dal 31 agosto fino al Superbowl di fine giugno. Non è facile, ma la passione ti aiuta a superare tutto».
Tanto che, alle soglie dei 42 anni, di smettere non se ne parla.
«Io sono pronto a giocare anche la prossima stagione, ma sembra che sia allo studio della federazione una regola che ponga dei limiti di età. Non credo che passerà, dovesse accadere non potrei comunque allontanarmi dal campo e mi dedicherei a trasmettere quello che ho imparato ai giovani».
Chi gioca nel tuo ruolo deve difendere il Qb, come descriveresti il rapporto tra Joe Craddock e gli uomini del tuo reparto?
«Per Joe è la seconda stagione a Parma, l’anno scorso faceva un tantino la superstar, quest’anno invece è stato bravo a capire la nostra mentalità e adattarsi al nostro livello di gioco. In altre parole ha maturato la consapevolezza di giocare in Italia e si è levato di dosso la patina da superstar per diventare un membro effettivo della famiglia. Questo è stato determinante per la crescita della squadra. Così come sul lavoro o in ogni altro aspetto della vita, quando ti trovi in un ambiente coeso il tuo rendimento è sicuramente superiore».
Il tuo pronostico?
«Non mi sbilancio, dico solo che siamo consapevoli della nostra forza e se riusciremo a mettere in campo quello che sappiamo fare il risultato arriverà. Ovviamente molto dipenderà dai tre americani, che non giocarono la partita di regular season a Catania (a qualificazione acquisita fu una formazione completamente italiana a incassare dagli Elephants l’unica sconfitta del 2010 in campionato). Il più determinante sarà sicuramente Crag Hay, ma quello che farà sognare i tifosi sarà sicuramente Joe Craddock».
ALESSANDRO MALPELI AVALLI
Rookie (esordiente), 20 anni ad ottobre, running back (prende la palla dalle mani del Qb e la porta cercando un varco nella linea di difesa avversaria), maglia numero 33, un touch down in Efaf Cup in questa stagione, fa parte del folto gruppo arrivato in prima squadra dal vivaio ducale. Nelle giovanili i Panthers primeggiano in Italia da diversi anni.
Alessandro, come è stato il primo impatto con il campionato Ifl?
«Arrivare in prima squadra era il mio obiettivo fin dai 14 anni, quando ho iniziato a giocare a flag football. Mi piacciono tutti gli sport, tanto che frequento il primo anno della facoltà di scienze motorie. Ho giocato a calcio fino a quando ho capito che il football mi aveva coinvolto a tal punto da far scattare dentro di me la passione. Quest’anno ho raggiunto il mio primo traguardo, quello di giocare in prima squadra, e sono stato accolto molto bene dal gruppo, legando anche con persone decisamente più grandi di me, come il 42enne Roberto Gennari che è il mio riferimento nel ruolo di running back».
Ti aspettavi di giocare subito, al primo anno, il Superbowl?
«Ad inizio stagione abbiamo capito di essere competitivi e di conseguenza la finale è diventata da subito il nostro traguardo principale. Naturalmente questa è la partita che sogno da sempre, riuscire a giocarla alla prima stagione, avere l’occasione di lottare per il titolo italiano a meno di vent’anni è semplicemente fantastico».
Le altre due finali disputate dai Panthers qualche anno fa le ricordi?
«Giocavo nel settore giovanile, ho seguito le partite dalla tribuna e mi hanno lasciato tanto amaro in bocca».
Quest’anno finirà diversamente?
«Non sono scaramantico, ma non faccio pronostici. Nelle giovanili abbiamo vinto tutto quello che c’era da vincere, il Superbowl sarebbe la chiusura del cerchio, la ciliegina sulla torta come si suol dire. Gli Elephants Catania sono un’ottima squadra, ma noi non siamo da meno. Sarà sicuramente una bella partita».
Chi sarà decisivo?
«Sarò banale, ma certamente gli americani possono esserlo per entrambe le squadre. Ma io credo che la differenza per noi la possa fare la offensive line. Il loro è un compito molto delicato e difficile, ma sono sicuro che faranno bene».