Prosegue il “viaggio” di approfondimento di SportParma attorno al mondo del calcio dilettanti che, come tutte le attività sportive, rischia di uscire stritolato nella morsa della crisi portata dal Coronavirus.
L’intervistato del giorno è Michele Margini, calciatore noto al panorama parmense per i suoi trascorsi con le maglie di Salsomaggiore e Piccardo Traversetolo. Attraverso i punti di vista del difensore in forza al Bibbiano San Polo, nonché avvocato civilista e penalista di professione – e membro anche dell’AIAS (Associazione Italiana Avvocati dello Sport) – abbiamo ragionato sul futuro del calcio nella nostra provincia.
Ciao, Michele. Come stai trascorrendo questo isolamento domiciliare?
«La situazione è del tutto inedita, nessuno di noi si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Come tutti, sono in attesa di avere delle notizie, ovviamente non solo per il calcio. Coi compagni di squadra (del Bibbiano San Polo, ndr) ci sentiamo quotidianamente sulla chat di Whatsapp e negli scorsi giorni abbiamo fatto un sondaggio interno: all’unanimità vorremmo terminare il campionato».
Sei riuscito a mantenerti in allenamento?
«C’è da dire che mi tiene in allenamento mio figlio, che ha tre anni e non sta un attimo fermo. Non sono comunque rimasto fermo e, nel rispetto delle normative vigenti, mi sono inventato qualche esercizio da fare sul balcone – che fortunatamente è abbastanza spazioso – e nel giardino condominiale di casa. È un bisogno fisiologico: penso che nessun atleta possa stare tutto il giorno sul divano».
Tu oltre che giocatore sei anche avvocato: come pensi sia giusto concludere la stagione 2019/2020? Annullando tutto, valutando solo lo status quo della classifica oppure proseguendo i recuperi di campionato nei mesi estivi?
«Non c’è nessuna normativa federale che dica cosa bisogna fare nel caso di una sospensione delle attività per pandemia mondiale. La decisione finale, pertanto, spetterà agli organi federali; ma l’ordinamento sportivo si adatterà a quanto verrà stabilito dal governo sulla base della situazione di emergenza. Se si vorrà giocare in estate in una data successiva al 30 giugno occorrerà andare a modificare le NOIF per prevedere una deroga che possa posticipare il termine della stagione. Questo è quello che posso dire nella mia veste da avvocato. Da giocatore dico che apprezzo la volontà della FIGC di portare a naturale conclusione i campionati, ma ho seri dubbi sul fatto che si possa riprendere e concludere sul capo, che da un punto di vista sportivo sarebbe la cosa migliore. Perché così si rispetterebbe il risultato sportivo dato dal campo. Invece, far finta che la stagione non ci sia stata e annullare tutto mi sentire di escluderlo perché è giuridicamente inattuabile. Altrimenti, in ultima ipotesi, non resterebbe che decretare i verdetti a tavolino, che è la cosa più contraria rispetto ai principi sportivi. Sicuramente ci sarà sempre più di uno scontento».
Gli effetti del Coronavirus, tuttavia, lasceranno il segno anche nel nostro futuro. Secondo uno studio della FIGC, il 30% dei club dilettantistici rischieranno di sparire.
«Questo è un eventuale scenario, forse il più pessimista. Se il Paese ripartisse gradualmente da maggio o giugno, la prospettiva potrebbe essere non così drastica. Ai dilettanti servirà un aiuto da parte dello Stato; ma mi pare che il ministro Spadafora sia forse più attento alle realtà dilettantistiche che non al mondo dei professionisti, a cui ha tirato qualche “frecciatina”. Inoltre, nel piano economico per salvare i club anche FIGC e LND dovranno andare incontro alle esigenze di tutti: ad esempio, avevo sentito parlare di abbassare la quota di iscrizione».
Inevitabile che ci sarà una grande crisi economica. Come dovrà ripensarsi il mondo del calcio dilettanti?
«Come dicevo prima, io non riesco a immaginarmi uno scenario apocalittico e catastrofico, perché di carattere sono molto ottimista. In futuro continueranno a esserci società che potranno spendere più di altre. Ma tutti i club dovranno mettere in campo nuove idee: nuove forme di autofinanziamento, come ad esempio delle attività sociali che coinvolgano una comunità per avere un ritorno economico. Non tutto si può basare sul meccanismo delle sponsorizzazioni».
Alcuni sostengono che i calciatori dilettanti dovranno ridimensionare i compensi sportivi e tornare a giocare per passione.
«Non sono d’accordo. Non si deve confondere lo sport dilettantistico con quello amatoriale. Ci sarà un ridimensionamento collettivo dei budget, questo è naturale: ma non credo che si arriverà a fare le squadre con i giocatori “del paese”. È giusto che venga erogato un compenso per le prestazioni sportive dei calciatori e dei tecnici. Non credo che la soluzione sia quella di far tornare lo sport dilettantistico a come tornare era 50 anni fa. Anzi, bisogna progredire. Proprio ora che siamo in un periodo di riforma dell’ordinamento sportivo».
Cosa si potrà fare per fare un passo avanti e non all’indietro?
«Purtroppo, abbiamo da sempre il retaggio culturale di considerare lo sport come un hobby. Lo sport, invece, è uno dei pilastri sociali ed economici del nostro Paese; lo sport è salute, socialità, insegnamento, crescita. Una volta che sarà ripartito il Paese, bisognerà investire nello sport, trovare nuove forme di partecipazione e allargare le tutele dal punto di vista assistenziale, assicurative e previdenziale in favore della figura del lavoratore sportivo, per la quale è stata approvata una legge delega che contiene tra le varie disposizioni anche quella della sua introduzione. E a questo proposito anch’io cercherò di dare una mano…».
In che modo?
«Sempre nell’ottica di una progressione dello movimento dello sport dilettantistico, assieme a miei due colleghi dell’AIAS, Tommaso Orrù di Parma e Giovanni Sivelli di Modena, abbiamo pensato a un progetto associativo, di portata almeno regionale, che raggruppi atleti e collaboratori sportivi come allenatori, istruttori di base, ecc. Persone che comunque vivono anche di sport e che rappresentano di una categoria che ha bisogno di una tutela giuridica e istituzionale».
Una specie di sindacato.
«Non mi piace definirlo così, però il senso è quello. Chiamiamolo, per ora, progetto associativo con l’obiettivo della tutela di queste categorie, attraverso l’organizzazione di seminari con il supporto di alcune figure specializzate e l’erogazione di servizi di consulenza giuridico-sportiva per le problematiche che possono riguardare, fra le altre cose, convenzioni per cure mediche, visite specialistiche, vincolo sportivo, compenso sportivo, recupero credito. Il supporto per tutti i tesserati sportivi, ad oggi, dev’essere ampliato e garantito; è vero, nel calcio c’è l’AIC, ma è per i professionisti ed è una cosa diversa. Manca un riferimento in materia giuridico-sportiva che si prende cura da vicino delle problematiche legate ai dilettanti».
Il primo passo adesso quale sarà?
«Una volta passata l’emergenza sanitaria, estenderemo l’invito a chi vorrà entrare nel direttivo dell’associazione, indipendentemente dalla professione lavorativa. Mi piacerebbe coinvolgere a 360° tutto il mondo dello sport per avere una rappresentanza di tutte le categorie che devono essere tutelate. Poi sarebbe bello iniziare per la stagione 2020/2021».
(Nella foto, il difensore Michele Margini in azione con la maglia del Bibbiano San Polo)