Un’affascinante intervista, lunga e articolata, da parte di Luca Saverese per Stadiotardini.it, ad Alberto Di Chiara, uno degli eroi della Coppa delle Coppe di Wembley. 27 anni dopo.
Maglia numero 3 sulle spalle, corse a perdifiato, perché nel 5-3-2 di Scala, gli esterni, lui a sinistra e Benarrivo a destra, avevano un ruolo fondamentale, spingere quando si saliva per irrobustire le fasce e rintuzzare in fase di non possesso, come dicono i tattici, per dar manforte alla retroguardia. E pensare che all’inizio della sua carriera era un’ala. Fu il tecnico brasiliano Sebastiao Lazaroni a Firenze, a trasformarlo in un esterno tutto campo, alla brasiliana. Oggi vive a Firenze, legge Terzani, da qualche anno, come ci racconta lui stesso, ha preso il patentino da giornalista ed impreziosisce i commenti sportivi di Italia Sette. La vita di ieri e quella di oggi, di uno che solo a nominarlo fa ripetere quella cantilena di eroi, filastrocca della memoria crociata ma non solo. A proposito di ricordi, oggi, la Coppa delle Coppe , primo alloro europeo del Parma, compie 27 anni, auguri! Allora sorseggiamo quel giorno a Wembley, con uno dei suoi protagonisti in campo, Alberto Di Chiara.
Alberto Di Chiara, se la pandemia fosse la tua fascia di competenza, quella mancina, quali potrebbero essere le istruzioni per l’uso: la fase 2 è una sortita in avanti, ma ben consapevoli che forse se si va troppo in là poi si rischia di far scattare il contropiede della ricaduta?
“E’ un compito molto difficile, qui potrei andare solo ad istinto, non ho la competenza sanitaria necessaria per espormi più di tanto, non farei sicuramente decreti, che ne hanno fatti pure troppi e rabberciati, al di la di questo, bisogna cercare di riuscire a tornare alla normalità. Non possiamo stare rintanati in casa fino a data da destinarsi e da decidersi, piano piano stiamo andando verso una normalità, speriamo che non sia troppo tardi per tante situazioni economiche e commerciali che stanno soffrendo in modo pesante, sperando che non sia una morta definitiva per molte aziende, come si dice in questi casi, la salute ci assista, credo che questo proseguimento ad allentare le misure e le morse della quarantena possa definitivamente essere compiuto con quest’estate, per vivere magari non dico un’estate come le altre, ma quantomeno tranquilla, per poi affrontare un anno normale”.
Tu come hai vissuto e come stai vivendo la quarantena?
“Come tutti, soprattutto all’inizio da costretti in casa. Sai c’era molta paura di capire di cosa si trattasse, poi quando le cose si sono un po’ più delineate, la paura forte si è allentata, e sono subentrati altri tipi di paura, per il lavoro, per altre questioni economiche. Per quanto mi riguarda sono stato tranquillamente in casa, mi sono goduto in parte i miei figli anche se sono quasi indipendenti in questo momento, ho potuto approfondire conoscenze, leggere e quant’altro, cose che quando si va di corsa non riesci a fare, è stata un’occasione per cercare di prendere il lato positivo e guardare situazioni alle quali, in tempi normali, non ti ci saresti dedicato più di tanto,poi sto andando spesso in tv ed alle Radio, lavoro per il canale Italia 7, da qualche anno ho preso anche il patentino di giornalista, mi sono mosso già quando non si poteva, ora che si è un po’ più liberati, ci s’incrocia un po’ tutti. Questa è stata la mia quarantena, ho vissuto una quarantena forse più fortunata di qualcun altro”.
Ti abbiamo visto su Facebook fuori dagli Uffizi, vicino alla statua di Machiavelli. Ma quando arrivasti a Parma per la prima volta, nell’ estate del 1991, te l’aspettavi di diventare poi un giorno un prezioso quadro di quella pinacoteca degli eletti nata dalla bottega di mastro Scala?
“Hai creato un’immagine molto bella, quell’ anno ero a Firenze, città dove abito tuttora, no non me l’aspettavo, la scelta non fu facile, il Parma veniva da una buona prima annata in A, ma non aveva ancora scritto la storia vera. Guarda mi ricordo come fosse adesso quando Giambattista Pastorello venne a casa mia e mi raccontò quel progetto, mi disse quello che avevano intenzione di fare, che si voleva costruire qualcosa d’importante, mi convinse e mai feci la scelta più giusta sotto il profilo professionale ed umano. A Parma c’era l’ambiente ideale, c’era tutto, un proprietà solida e importante come quella di Calisto Tanzi (purtroppo poi le vicende legate alla Parmalat hanno portato a quello che è successo) una società ben organizzata, pochi uomini ma che comandavano e decidevano, di indubbio valore, da Scala a Pastorello stesso, a Pedraneschi, che era l’uomo di Tanzi, tutti gli elementi giusti al posto giusto, e poi i giocatori in campo, abbiamo formato un gruppo unico, fantastico, non facilmente ripetibile. Siamo riusciti a conquistare le coppe europee, le coppe Italia e andammo anche vicini a vincere campionato, in un contesto dove il calcio italiano era il massimo, affrontavano squadre come la Juve di Vialli, Ravanelli, Roberto Baggio, il Milan di Gullit, Rijkaard e Van Basten, tanto per citarne qualcuno… Vincere in quel contesto è una soddisfazione maggiore, non ci si aspettava di vincere così tanto, e forse volendo, potevamo fare anche qualcosina di più”
27 anni fa come oggi eri coi tuoi compagni a Wembley, nelle ultime ore prima della sfida ai belgi dell’Anversa. La tua maglia numero 3 preparata negli spogliatoi, quell’impianto storico e la storia pronta a prendervi in braccio. Se chiudi gli occhi cosa vedi?
“Rivedo un momento unico, particolare. Sulla carta eravamo favoriti e forse proprio questo ci poteva far un po’ preoccupare. Siamo invece entrati in campo super concentrati, la partita fu molto rapida, l’unica amnesia il gol loro del pari, ma per il resto fu una partita quasi perfetta, abbiamo macinato gioco, corso tanto, poi ci fu un gol annullato a Melli, validissimo del resto: uno schema su punizione meraviglioso, con un triangolo e un tiro al volo con gol di Sandro che aveva incrociato in maniera impeccabile. Per fortuna che il vecchio Cuoghi segnò, con una zampata, il gol della sicurezza, che fu l’ epilogo della sfida e l’ inizio del trionfo e dei festeggiamenti, con Tanzi che venne nello spogliatoio e si buttò con noi dentro la vasca dello stadio, momenti indelebili per tutti quelli che hanno tifato Parma e per noi che eravamo lì, in campo, a scrivere la storia, poi fu ancora più un’ esperienza unica perché fu la prima coppa europea”.
Quella coppa dove dormì se dormì quella notte?
“A Londra, con noi, siamo rimasti lì quella notte per partire poi il giorno dopo, con un volo privato charter, per tornare a Parma dove fummo accolti da un tripudio unico e da una valanga di persone. Fu un’ emozione continua, la chiusura di un’annata meravigliosa. L’anno precedente fummo eliminati in Uefa all’inizio per mano dei bulgari del Cska Sofia, ma alla fine vincemmo la prima Coppa Italia, che fu un’ altra emozione intensa. Insomma questi 27 anni della Coppa coppe sono tanti, ma davvero freschi ed indelebili”
Dalla prima gara in campionato, Lazio-Parma, settembre 1991 a Parma-Bari, ultima tua recita in maglia crociata, nell’aprile del 1996, in mezzo tante corse, 142 presenze, 5 gol, due dei quali rifilati al Cagliari proprio nella tua ultima stagione in gialloblù, ma anche la convocazione in azzurro, il primo giocatore crociato ad esserci riuscito. Insomma, Alberto Di Chiara si nasce o si diventa?
“Ci sono certe cose che hai dentro, il calcio è davvero una metafora della vita, la nostra vita è un po’ come una partita di calcio, basta un rimbalzo del pallone, un dettaglio, una scelta, Parma è stata la mia scelta giusta al momento giusto. Coincise anche con l’inizio di un’epoca importante per il Parma calcio, io su questo disco volante ci sono salito sopra, la mia carriera calcistica è dipesa molto da questa scelta luminosa, che poi mi ha consentito di togliermi gioie che durano e dureranno per sempre”.
Il campionato per te deve riprendere? Come la pensi?
“Me lo auguro che possa ripartire, se riparte significa che il pericolo sanitario è scongiurato, altrimenti sarebbe un suicidio organizzare una partita. Se entrare in campo significa che il pericolo non sia zero, un rischio di pericolo zero è impossibile al di là del coronavirus, ma comunque minimo, allora è un conto. Credo che sia indispensabile che ci siano le condizioni sanitarie perché anche i giocatori possano entrare in campo sicuri, se no devono vivere una vita in quarantena e sarebbe un campionato molto condizionato, senza pubblico, con questa psicosi continua del contagio, se riprenderà allora vorrà dire che le cose si sono messe meglio, spesso è simbolico il calcio. Se inizia di nuovo, mi auguro che ci sia la consapevolezza che il pericolo sia scampato, altrimenti se bisogna andare al mare distanziati, al ristorante col plexiglass, sarebbe un controsenso iniziare un campionato in queste condizioni”.
Luca Savarese da www.stadiotardini.it