Sveglia puntata intorno alle nove di mattina e un pranzo leggero in vista della giornata sui campi. Una vita regolare, "da atleti" durante la settimana. Stiamo parlando di coloro che, con molta meno gloria, la domenica stanno al fianco dei calciatori: gli arbitri.
Ragazzi, studenti o lavoratori, che in giovane età hanno scelto di cominciare la “gavetta” trascinati dalla passione. Una passione che diventa poi un secondo impiego dove l’impegno per un giovane arbitro è quasi quotidiano. Anche a Parma e per chi esercita a livello più basso.
La “gavetta”
Ma come si fa a diventare arbitro? A livello locale le iscrizioni sono aperte a qualsiasi cittadino residente in Italia (italiano o straniero, uomo o donna) di età compresa tra i 15 e i 35 anni. «I nostri corsi sono gratuiti, durano 2 mesi e insegniamo il regolamento di calcio a 11 e calcio a 5 – spiega il presidente della sezione locale Aia Fausto Avanzini – Dopodiché si procede con le prove atletiche e l’esame, scritto e orale: i “promossi” prima vengono assicurati, poi ricevono la tessera che li identifica (e consente l’ingresso a tutti gli stadi italiani in Tribuna ndr) e infine, iniziano ad arbitrare. Si parte dalla categoria “Giovanissimi”, per le prime 4-5 volte accompagnati da tutor». A questo punto chi non si accontenta può tentare la “carriera”. Per salire di categoria occorre un buon rendimento, valutato dagli osservatori (ex arbitri o colleghi esperti) nelle partite (da un minimo di 7-8 a un massimo di 20 l’anno), e una condizione fisica adeguata, valutata nei test atletici annuali (2 in provincia, 4-5 in regione e a livello nazionale). «Se voti e test sono in linea con le esigenze dell’Aia si sale di categoria – prosegue Avanzini – Nel giro di 10-12 stagioni si può arrivare tra i professionisti, ma se uno è bravo ce la può fare anche dopo 8-9 anni. L’importante è rispettare i limiti di età (32-33 anni massimo per A e B), altrimenti, a un certo punto, ci si deve “accontentare” di fare il guardalinee o il quarto uomo. Nel calcio a 5 invece c’è più elasticità».
La settimana “tipo”
Un arbitro, tralasciando i recuperi notturni infrasettimanali, è impegnato per lo più il sabato e la domenica. Se si arbitra di pomeriggio, oltre a rincasare presto la sera prima della partita, per alzarsi riposati, è consigliabile presentarsi al campo a digiuno o “leggeri” (una pasta), e almeno un ora in anticipo rispetto alla gara per sistemarsi e riscaldare i muscoli (15-20 minuti) prima di fischiare d’inizio della partita. Ma il lavoro non termina la domenica sera. Dopo le fatiche del week-end il lunedì sera per i fischietti cittadini è il momento dei verdetti. Appuntamento all’Aia per parlare delle partite con i colleghi e tirare le somme. Poi ci sono gli allenamenti, il martedì e il giovedì, dalle 19 alle 20,30, al centro sportivo “Stuard” di San Pancrazio, mentre il “tris” (solitamente il sabato mattina) è facoltativo a seconda della categoria in cui si arbitra. Chi non ha la possibilità di passare dalla città si allena con le società del proprio paese. Infine il venerdì tre volte al mese sempre all’Aia si tengono riunioni di aggiornamento con filmati (di gare dalla Serie D alla A) ed eventuali nuove disposizioni “.
Le difficoltà
Attenzione, un carattere forte e la capacità di non farsi condizionare sono indispensabili se si decide di intraprendere la carriera di arbitro: 22 giocatori da gestire, ma anche dirigenti e tifosi pronti ad apostrofarti con appellativi poco onorevoli al primo errore. Questo quando va bene, visto che spesso nei campi di provincia si va anche oltre e a volte nessuno è pronto a intervenire. La presenza di forze pubbliche sarebbe obbligatoria, ma a volte il “ruolo” è occupato da un dirigente dalla società di casa, che si aggiunge al noto “addetto all’arbitro”, che per molti fischietti reduci da una “domenica no” si può trasformare in un incubo nel dopo partita. L’Aia convive da anni con questi problemi, ma continua a lavorare per migliorare la cultura sportiva. «A Parma stiamo organizzando incontri con le società per far vedere loro come prepariamo i ragazzi seguendo i regolamenti della Figc – conclude Avanzini, che, essendo stato arbitro e guardalinee in serie C (e 10 volte quarto uomo in A) fino a 11 anni fa spiega di quanto si sia evoluto il “mestiere” – Ora si lavora molto di più soprattutto dal punto di vista atletico: il gioco è più veloce, i test più difficili e l’età media si è abbassata (limite di 45 anni con possibili deroghe fino al massimo a 50 anni ndr). Poi ci sono i filmati, una volta inesistenti ora molto utilizzati».
Una figura, quella dell’arbitro, in cui sbagliare sarà sempre “vietato” ma in continua evoluzione e sempre affascinante, visto che restano centinaia e centinaia ogni anno i ragazzi che vogliono intraprendere il mestiere più discusso del mondo.
DA UNO A CINQUE… MA NIENTE MOVIOLA
Due cartellini, un auricolare e un fischietto. Il resto è affidato alla vista. L’arbitro è uno degli ingranaggi indispensabili del gioco calcio, fin dalle sue origini quando questo sport aveva altri nomi come cuju, tsu-chu, episciro e harpastum. Quando per vincere bastava portare un pallone oltre la linea di fondo avversaria, con i piedi e anche con le mani. Quando l’arbitro era una figura da rispettare e non da insultare o da inseguire anche fuori lo stadio, come succede in alcuni campi di provincia.
Oggi i tempi sono cambiati, esistono molte più regole e soprattutto molti interessi economici da salvaguardare. E così il calcio è diventato un gioco pieno di tensioni, moviole e proteste, con gli arbitri che fanno sempre più fatica a reggere i ritmi forsennati dei 22 giocatori in campo. Un lavoro bestiale che comunque porta nelle casse di questi professionisti del fischietto cifre considerevoli. Una volta era la famosa giacchetta nera a distinguere il giudice di gara, un uomo solitario nel bel mezzo di una bolgia; solo successivamente sono entrati in gioco i guardalinee e poi addirittura il quarto uomo, una sorta di occhi esterno che dovrebbe captare tutte quei particolari che sfuggono alla terna arbitrale.
Il calcio è un mondo in continua evoluzione e così dal prossimo anno prepariamoci a nuovi cambiamenti. Sì, perché in questi giorni l’International board della Fifa ha dato l’ok a tutte le federazioni calcistiche, compresa quella italiana, di dare più poteri decisionali al quarto uomo e di disporre di un quinto arbitro per tutte le partite del campionato. La norma del quinto arbitro non è ancora obbligatoria, ma solo facoltativa.
La tecnologia, dunque, resta fuori; il calcio fa una fatica tremenda ad affidarsi all’infallibile occhio elettronico. I motivi? Molteplici, tra cui diffidenza e paura. In alcuni casi anche malafede.
Rigori, punizioni, fuorigioco, cartellini rossi, referti…. Un mix di decisioni che ogni domenica generano polveroni e alimentano decine di programmi televisivi, ma la cosa più fastidiosa è il silenzio. Già, gli arbitri non parlano mai pubblicamente, non possono farlo. Se trasgrediscono le regole vengono diffidati o addirittura multati (mortificante!). E’ uno strano mondo. Un mondo che dovrebbe trovare il coraggio di aggiornarsi ed aprirsi a quei milioni di tifosi che vedono nell’arbitro solo un “mostro” da insultare.
Antonio Boellis