Sono due gli ingredienti, spesso trascurati, che fanno la differenza tra una buona e una cattiva serie D: il campo (inteso come fondo di gioco), e lo stadio. Il Fidenza, per esempio, si è giocato una decina di punti salvezza nella palude invernale del Ballotta (nella foto). Un cattivo fondo neutralizza i giocatori di qualità e livella le prestazioni verso il basso. Soprattutto fa spendere un inutile mare di energie in un campionato dove la forza fa la differenza. Restando nell’ambito (sempre teorico) del girone D, è emblematico il caso del Jolly Montemurlo. Sul suo vecchio sintetico di Oste, dove è difficile giocare a pallone per chi non è abituato, tante squadre dei piani alti hanno pagato dazio. Il Montemurlo, che aveva ben poco più del Fidenza, si è salvato abbastanza agevolmente. Veramente notevoli sono i campi di Este, Abano ed Imola. Non per nulla due squadre ” normali ” come l’Este e l’Abano Calcio hanno disputato un campionato coi fiocchi.
Ben più spinoso è il discorso sull’ingrediente ” stadio “, perchè si intreccia in modo imprevedibile a quello ” tifosi “. Con imprudente leggerezza qualcuno ha affermato che il Tardini sarà l’arma in più di questo Parma che non c’è (sto scrivendo il 23 luglio … ). Le corazzate designate della scorsa stagione (Rimini e Piacenza) giocavano in stadi da categoria superiore, con annesso tifo organizzato da categoria superiore. Tutte e due queste squadre hanno avuto un inizio zoppicante, a cui sono seguite contestazioni dei tifosi ed esonero degli allenatori. Prima di trovare la quadra, il Rimini di Pera e Ricchiuti c’ha messo tutto il girone d’andata. Il Piacenza invece la quadra l’ha trovata troppo tardi. Il risultato, sia per il Rimini che per il Piacenza, è stato l’esodo silenzioso di un buon numero di tifosi. Nello scorrere delle giornate, tutte le tifoserie organizzate sono dimagrite e si sono trasformate in tifoserie da trasferta. Quando sono andato a Rovigo, gli ultras del Porto Tolle (che all’andata a Fidenza c’erano e anche belli coloriti) erano assenti. Per contestare la società – erano al terzo allenatore – disertavano le partite interne.
Quando sento parlare quasi con sofferenza di ” soli ” 8.500 tifosi per il Tardini, capisco che non c’è ancora una esatta percezione di cos’è nella realtà la serie D. La normalità che ho visto coi miei occhi durante la scorsa stagione è fatta di 500/2000 max spettatori per partita. Al Garilli, alla penultima giornata di campionato, ho vissuto l’esperienza più surreale. Questa partita era fondamentale sia per il piazzamento play off per il Piacenza che per la salvezza del Fidenza. Non credo ci fossero più di 700/800 spettatori. Eravamo tutti puntini sparsi all’interno di questo esagerato tempio della serie A. Gli ultras del Piace nella gradinata non credo che arrivassero alle 100 unità.
E’ senz’altro prestigioso poter giocare al Tardini, ma dubito che sarà questo il fattore determinante per un buono o cattivo campionato. Se la squadra non dovesse girare da subito (e viste le arie che tirano è molto probabile) gli 8.500 tifosi saranno solo una pia illusione. Il Romagna Centro, che ha giocato le ultime due stagioni al Manuzzi di Cesena, aveva intenzione di tornare al campo di Martorano. 2.000 euro moltiplicato per 19 partite interne, almeno per le squadre normali, sono un peso difficile da sostenere.
La più bella combinazione campo-stadio l’ho vista ad Imola: questo è il luogo ideale per giocare un bel campionato di serie D. Un ambiente ordinato, organizzato e soprattutto proporzionato; è la vera arma in più.
Ma prima di tutto, per giocare, ci vuole una squadra.