Nello sport come nella vita deve scattare la cosiddetta “scintilla†per innamorarsi di una disciplina.
Facile che accada nel calcio, nel volley o nella pallacanestro, meno per uno sport “minore” come lo squash, figlio del tennis (ma non ditelo a chi lo pratica) in voga nelle migliori palestre, ma ancora in attesa di essere considerato sport olimpico, in via di sviluppo in Italia, grazie soprattutto alla passione dei migliori atleti nazionali, che, proprio per amore della propria disciplina, si stanno prodigando anche per promuoverlo.
Parma, da questo punto di vista, è una città fortunata con questa disciplina, avendo dato i natali a Manuela Manetta, classe 1983, tesserata per il Villorba (Treviso) per nove anni tra il 2002 e il 2011 (unico “stop” nel 2005) miglior giocatrice di squash italiana e numero 25 della classifica mondiale nel 2007, e Paolo Allevato, 33 anni, punto di forza del Castellazzo, già campione regionale, numero 7 in Italia nel 2009 e nazionale azzurro. Entrambi hanno iniziato a 12 anni, a scuola, per gioco e si sono innamorati dello squash, arrivando ad essere talmente bravi da girare il mondo, tra tornei individuali e con la nazionale (europei e mondiali). Con loro, incontrati al PalaSprint, dove insegnano, ha parlato Sportparma.com. Non solo della loro carriera, ma soprattutto dello sviluppo della disciplina a Parma e in tutto lo stivale.
LE ORIGINI
“Prima di metà anni ’90 nessuno giocava a squash, io stesso a Parma credo di essere stato uno dei primi in assoluto – ricorda Allevato – Poi a metà anni ’90 è diventato una moda, in Italia si superava il migliaio di atleti che si incontravano in tornei in giro per lo stivale, a cui partecipavano, alternati, anche un centinaio di giocatori della nostra provincia”. Poi con il nuovo millenio una leggera flessione, tant’è che lo stesso Allevato lasciò. “Nel 1998 sono diventato istruttore e avevo già viaggiato tanto con le varie nazionali, dall’Under 16 alla Seniores, ma a 22 anni ho fatto la scelta di abbandonare lo sport per laurearmi in economia e finanza – spiega l’atleta parmigiano, che ha atteso ben 4 anni per riprendere – Ed è stato ancora meglio: che soddisfazione tornare in nazionale nel 2006, dopo uno stop così lungo”.
Nel frattempo, in uno sport praticato a maggioranza da uomini (7 su 10 volendo fare una percentuale indicativa) stava iniziando a collezionare vittorie Manuela Manetta. “A 12 anni alle medie di Sorbolo ho scoperto lo squash, a 14 anni partecipavo già a tornei all’estero e a 15 la nazionale seniores mi portò con se agli Europei – racconta – Ho vinto tanto, divertendomi, ma non nascondo che vedendo diversi compagni lasciare ho notato una flessione all’inizio del nuovo millennio, con le squadre, già formate da pochi ragazzi, si dimezzavano. Ma da 3-4 anni a questa parte tra i giovani c’è maggiore interesse e il livello si è alzato”.
IL PRESENTE
In Italia esistono dal 2002 anche i campionati a squadre, con l’Urbe Roma, ex squadra della Manetta, campione in carica, a cui partecipa anche il Castellazzo Squash Team di Allevato. “Le squadre sono formate da 7-8 giocatori tesserati e 2-3 stranieri che si alternano, in quanto in campo scendono tre uomini e una donna. Ci sono anche Coppa Italia e una sorta di Serie B, oltre ai tanti tornei, che ci impegnano almeno due fine settimana al mese – spiegano in coro i due campioni di squas ducali, indicando anche la ricetta per restare competitivi – Per essere in forma un atleta deve allenarsi parecchio, almeno cinque volte la settimana per 4-5 ore al giorno tra palestra, stretching, corsa, bici e campo. Il top della forma per un uomo è tra i 28-30 anni, mentre una donna raggiunge l’apice generalmente intorno ai 25”.
LA VITA DA PROFESSIONISTA
L’Italia si può considerare tra i paesi più sviluppati nella disciplina, ma non il top. “L’Inghilterra è la patria dello squash (nel 1930 il primo British Open ndr), io stesso ho fatto molti viaggi oltremanica a studiare le strategie dei migliori allenatori, per migliorare come giocatore e costruirmi un futuro da insegnante – spiega Allevato – Ci sono superiori anche l’Egitto, dove credo sia secondo o terzo sport nazionale, Francia, Australia e Canada”. Come tutti gli sport minori però, la nota dolente è lo stipendio, come conferma la Manetta, una che, nonostante i grandi allori, ha fatto non pochi sacrifici decidendo di sposare questa causa. “Viaggiare costa, 15 mila euro in un anno partecipando a tornei internazionali servono come minimo: nei primi tempi per me le spese erano superiori agli introiti – confida la Manetta, analizzando la situazione in Italia e all’estero – I tornei internazionali hanno montepremi da 5mila fino a 150 mila dollari, e in paesi come Francia e Inghilterra hai uno stipendio fisso. Qui vincere un torneo paga molto meno invece. Se si bravo e hai anche una società che ti appoggia puoi portare a casa uno stipendio onesto, fino ai 30-40 mila euro annui i più fortunati, ma in Italia per vivere discretamente con questo sport conviene arrotondare insegnando”.
IL FUTURO
Reduce da un’infortunio, la Manetta sta pian piano passando dal campo alla “cattedra”, anche a Parma. “Gioco ancora, con il Villorba, ma da poco insegno, una volta alla settimana, in palestra, insieme a Paolo, per lo più ad adulti dai 28 ai 50 anni, o a bambini – racconta la sorbolese, anticipando anche qualcosa del suo futuro – Da settembre lavorerò con la federazione per sviluppare il settore giovanile”. Da più tempo di lei insegna invece Allevato, che a Parma sta già raccogliendo i primi frutti. “Quando ho iniziato a collaborare con il Castellazzo avevo a disposizione un deposito, ora, grazie alla società che giorno dopo giorno ha creduto in questo progetto, abbiamo un gruppo di 15 ragazzi dai 12 ai 15 anni – conclude con fierezza il giocatore e istruttore parmigiano, che oltre a dirigere una scuola al circolo di Marore è anche presidente dell’Alley Squash Team – I ragazzi stanno giocando i primi tornei, anche in altre regioni, e stiamo facendo passi da gigante. Sono certo che questa disciplina crescerà: è uno sport che piace perché è immediato e fa gruppo”.