Differenze marcate e progetti differenti, dalla scrivania al campo. Parma-Piacenza, il derby del Ducato, è un quadro variopinto, pieno di colori sgargianti e oscurità, dove si nascondono le ambizioni di due squadre costruite in modo diverso e con ambizioni molto differenti tra loro; due squadre ripartite dalla serie D. Da una parte l’obbligo di vincere del Parma, dall’altra la voglia di stupire del Piacenza, costruito in estate per fare un campionato tranquillo. Due punti di partenza che rischiano di essere decisivi già prima del fischio di inizio di domenica sera, allo stadio Garilli, primo atto del secondo turno dei playoff di Lega Pro.
Il peso della vittoria a tutti i costi grava solo sulle spalle dei crociati, a differenza dei piacentini che dopo aver eliminato il Como sembrano aver scoperto una nuova elettrizzante vitalità, tanto da credere in un possibile miracolo. Punti di vista, angolazioni, tra certezze e paure. Il Parma, di contro, è reduce dalla vittoria nel derby con la Reggiana, un’iniezione di fiducia fondamentale dopo aver frantumato, in un solo mese, tutte le certezze costruite durante la seconda parte della stagione regolare.
Differenze che sono visibili un po’ ovunque: media spettatori (decisamente più alta quella del Parma), costi di gestione, ambizioni iniziali, mercato di riparazione… e chi più ne ha più ne metta.
Differenze che sono ancora più marcate se si mettono a confronto i due allenatori, Roberto D’Aversa e Arnaldo Franzini. Il primo è fautore del 4-3-3, il secondo della difesa a tre (ma si adatta spesso al modulo degli avversari). L’entusiasmo della prima volta (D’Aversa) contro l’aperienza di un “volpone”. Franzini è un profondo conoscitore del calcio emiliano, dilettantistico e professionistico, con una carriera condita da successi e complimenti, tanto da essere considerato il secondo allenatore italiano più vincente, dopo Allegri. Le sue squadre corrono, lottano, hanno costanza e sono concrete, anche se magari non sono belle da vedere. A differenza del Parma che per tutta la stagione ha fatto fatica a costruirsi una precisa identità di gioco, comlice anche l’affannoso inseguimento ai danni del Venezia che ha comportato un enorme dispendio di energie, fisiche e mentali.
La sensazione è che a livello fisico il Piacenza stia meglio del Parma, anche per una questione strutturale (il Parma è la rosa più “vecchia” della Lega Pro). Poi, i gialloblù hanno avuto due settimane per ricaricare le pile e lucidare le scarpette.
Differenze che si azzerano, o addirittura rischiano di essere ribaltate, se si considera l’elevato tasso tecnico dei crociati nella cui rosa ci sono giocatori che fino a qualche mese fa frequentavano i palcoscenici di serie A e B.
Per D’Aversa è la grande occasione: vincere col Piacenza e arrivare alla finale di Firenze sarebbe un traguardo di grande spessore per un allenatore emergente, che lo catapulterebbe sulle prime pagine di tutti i giornali.
Sarà una partita apertissima, dove i numeri e le diversità tecnico-tattiche contano fino ad un certo punto, soprattutto in un derby tra affamati e sognatori.
Una doppia sfida da leccarsi i baffi dove la storia e il curriculum contano fino ad un certo punto.
(Nella foto un momento della sfida di Coppa Italia tra Parma e Piacenza – Foto Parma Calcio 1913)