E’ terminato a Roma il processo di secondo grado (iniziato alle 14.40 , in ritardo rispetto alle previsioni e conclusosi circa un’ora dopo) dinanzi alla Corte d’Appello della Figc che ha visto impegnati i legali del Parma e di Emanuele Calaiò nel tentativo di ribaltare la sentenza di primo grado (leggi qui), per azzerare la penalizzazione di 5 punti nei confronti del club, missione non semplice anche a causa della volontà del Palermo, che si è inserito in maniera aggressiva nella vicenda scaturita da alcuni messaggi whatsapp inviati dal giocatore crociato a giocatori dello Spezia.
Secondo quanto filtra dalle aule della giustizia sportiva, proprio i legali della squadra siciliana hanno subito confermato la richiesta di applicazione delle penalizzazioni nel campionato di Serie B 2017/2018 e non nella stagione attuale. Chiaro l’intento di ricevere un vantaggio da un eventuale clamoroso (quanto improbabile) annullamento della promozione dei crociati.
Emanuele Calaiò ha confermato la propria versione, giurando sui propri figli, circa la totale mancanza di secondi fini nei messaggi inviati ai giocatori dello Spezia e confidando nella comprensione della corte:”Spero crediate nella mia buona fede”.
L’avvocato di Calaiò, Paolo Rodella, ha nuovamente sminuito il fatto: “Faccio appello alla sensibilità di una visione sostanziale dell’accaduto, possiamo discutere sulla opportunità di questi messaggi, possiamo censurare il cazzeggio, ma non può mai essere considerato un illecito sportivo”.
Per il Parma l’avvocato Eduardo Chiacchio ha confermato la tesi secondo cui non si può parlare di illecito e la società deve restare immune da qualsiasi sanzione. Il legale della società ha insistito su un pjnto, cioè la mancata percezione del tentativo di illecito da parte dei due giocatori dello Spezia coinvolti nella vicenda, De Col e Terzi; tesi sostenuta anche durante il processo di primo grado, ma senza successo.
La procura ha ribattuto che la condotta di Calaiò configura la fattispecie del tentato illecito e alle critiche mosse da Pierluigi Ronzani, membro della corte federale d’appello (“Avete aperto l’inchiesta soltanto ventuno giorni dopo. Dovevate intervenire prima”) ha risposto che sono stati rispettati i tempi previsti dal codice per l’indagine.
La decisione dei giudici è ora attesa nel tardo pomeriggio.