Il 1° febbraio scorso contro il Galles è diventato l'azzurro con la carriera più lunga superando Sergio Lanfranchi. Fermo per infortunio, dovrebbe rientrare intorno alla metà di aprile e se fosse potuto accadere nello stadio dedicato al grande 'Braccio': "Sarebbe stata una bella coincidenza". Obiettivo: RWC 2015
Fermato da un infortunio, rientro previsto intorno a metà aprile, Mauro Bergamasco è stato costretto a saltare la Scozia e gli ultimi due match del 6 Nazioni, fermandosi a quota 97 caps. Ai numeri, forse, non ci si pensa; vero è che nella vita sportiva ci sono cose più importanti come un mondiale, per esempio: «Manca ancora un po’ di tempo. Peccato l’infortunio perché questo periodo avrebbe aiutato per il prosieguo. Spero di trovare il modo di rientrare».
A proposito di cose importanti e di soddisfazione: Sergio Lanfranchi. In comune, i due hanno un’esperienza in Francia, il pacchetto e l’azzurro. Iniziato il 6 Nazioni, Mauro ha superato l’indimenticato “Braccio”. Non come numero di caps, la distanza è abissale ma d’altronde le epoche non sono paragonabili. Lanfranchi ha detenuto per cinquant’anni, meno due mesi, il record della carriera azzurra più lunga: 15 anni esatti in pratica (dal 27 marzo 1949 al 29 marzo 1964, ultimo cap proprio nella sua Parma). Il flanker delle Zebre ha fatto 16 il primo febbraio scorso contro il Galles. Sono cambiati gli avversari da quel 18 novembre del 1998, partita di qualificazione ai mondiali contro una nazione che la si ricorda in particolar modo per il calcio totale. «Eh, ne è passato di tempo – sorride l’azzurro -. Conoscendo la figura e l’importanza di Lanfranchi, un pioniere dell’italianità all’estero, questo traguardo mi infonde un grande onore e un senso di rispetto». Cambierebbe qualcosa nello stato d’animo se il rientro in campo con le Zebre potesse avvenire in un “Lanfranchi” anziché in un “XXV Aprile”? «Non mi addentro in una questione che non mi compete; certo sarebbe stata una bellissima coincidenza».
Nel frattempo è uscito il suo nuovo libro, scritto con la collega Francesca Boccaletto, “Nel nome del rugby”, una storia genealogica che in qualche modo unisce le famiglie dei due autori. «Mio padre mi ha insegnato che spesso sono più utili le critiche che i complimenti» confida Mauro Bergamasco.
Intanto un pezzetto di Parma ha adottato lui e le Zebre. «Ci fa piacere sentire le urla allo stadio, la gente che ci saluta fuori dagli spogliatoi o in città. Un po’ alla volta. Vuoi per il momento economico difficile, vuoi perché a noi manca una lunga storia rugbystica si fa un po’ fatica a riempire lo stadio. Noi, comunque, siamo figli d’Italia e figli di Parma. Da parte nostra manca ancora qualcosa in partita rispetto al bel lavoro settimanale e questo un po’ ci dispiace, ma il tempo ci sta dando ragione».
Almeno è arrivata la vittoria numero tre in stagione (un sito gallese non l’aveva presa benissimo ma se ne sarà fatto una ragione); seguendo il motto “lavorare per obiettivi” i prossimi due dovrebbero essere il poker e la “supremazia italiana” in Pro12. «Effettivamente è così. Quando raggiungi un obiettivo poi alzi l’asticella. C’è la volontà di andare avanti e strappare qualcosa in più».