Sono passati poco più di 6 anni da quel maledetto 2015. Il 19 marzo di quell’anno arrivò la sentenza del tribunale fallimentare che decretò la fine del Parma Fc (il giorno dopo l’arresto di Manenti).
Debiti enormi: 218 milioni complessivi (la prima stima), di cui 74 di natura sportiva, compresi 63 mln di stipendi e tasse non corrisposte. Quanto basta per giustificare le richieste di fallimento avanzate da creditori e Procuratore della Repubblica.
I crociati portarono a termine la stagione agonistica grazie anche al sostegno della Lega di serie A, tra sceneggiate, sconfitte e manette.
Doveva essere l’ultimo scandalo finanziario del calcio, ma così non è stato. La lista dei club defunti si è allungata col passare degli anni, senza validi rimedi e regole preventive, fino ad arrivare ai giorni nostri. Oggi l’Inter (la detentrice dello scudetto) ha approvato il bilancio 2020-21, chiuso con una perdita record di 245 milioni di euro (record per la serie A). La Juventus è sulla stessa lunghezza d’onda: 210 milioni di rosso.
Cifre simili a quelle dell’era Ghirardi, ma con epiloghi differenti, in parte giustificati dalla sostanziosa differenza degli introiti tra un top club come l’Inter e uno di provincia come il Parma. Oltre, ovviamente, al patrimonio giocatori.
Il Covid e gli stadi chiusi hanno dato la mazzata finale ad un sistema che già prima della pandemia era vicino al collasso (prima del Covid gli introiti da stadio si aggiravano intorno al 10-15% del fatturato). Concetti che scriviamo da anni, tra l’immobilismo generale del governo del calcio il quale consente indebitamenti paurosi a chiunque (o quasi), a fronte di garanzie che sembrano il classico specchietto delle allodole.