L’argomento è complesso e delicato, e spesso il mondo della stampa tende a sottovalutarlo, per non creare allarmismi. Eppure il problema è serio e riguarda la salute di migliaia di giocatori professionistici, dilettantistici e amatoriali. Stiamo parlando dell’abuso di farmaci comuni, i cosiddetti antidolorifici, che provocano gravi effetti collaterali (infarti, problemi articolari e malattie ai reni).
L’argomento è stato trattato in un’inchiesta coordinata dal centro giornalismo tedesco Correctiv, in collaborazione con La Stampa e France 2. Alla base dell’inchiesta ci sono interviste a massimo esperti e un sondaggio tra 1.200 calciatori amatoriali. Il risultato è che oltre la metà dei partecipanti assume questo tipo di farmaci regolarmente. D’altronde nel 2004 Antonio Conte in un aula del tribunale di Torino aveva detto che “se non ci fosse il Voltaren non ci sarebbero campionati di serie A, B e C, e neanche quelli interregionali”.
Le federazioni calcistiche internazionali – continua l’inchiesta riportata anche da Irpimedia– sono consapevoli del problema. «Dovremmo fare di più per educare tutti gli attori del mondo del calcio», dichiara Jiri Dvorak, capo dello staff medico della Fifa, la federazione internazionale del calcio, dal 1994 al 2015. Negli anni i consumi sono solo aumentati, tanto che secondo gli ultimi tre report, una percentuale tra il 40 e il 50% dei giocatori ha assunto farmaci prima di ogni partita del torneo. I numeri sarebbero ancora più alti secondo il medico Toni Graf-Baumann, al tempo collega di Dvorak alla Fifa e fino a marzo scorso consulente per la Dfb, il corrispettivo della Figc tedesca: «Credo che, tenendo in considerazione i casi non riportati, dobbiamo stimare che i numeri siano il 25-30% più alti».
I rischi per la salute non sono ancora noti. Tuttavia l’alta incidenza di infarti in ex-calciatori è stata rilevata da almeno tre studi pubblicati negli ultimi anni. Uno fra questi, condotto da Morten Schmidt, Henrik Toft Sørensen e Lars Pedersen sul diclofenac (principio attivo del Voltaren, ndr) e pubblicato nel 2018, rileva che nei trenta giorni successivi all’assunzione il rischio di infarto raddoppia.
«L’uso di antinfiammatori iniettati, senza ricetta medica, dovrebbe essere proibito. Dovremmo inserirli nella lista delle sostanza proibite dal Wada (l’agenzia mondiale antidoping, ndr) quando non c’è una precisa ragione terapeutica per il loro utilizzo», ragiona Dvorak. Anche perché oltre gli infarti si rischiano emorragie interne e malattie dei reni che arrivano a fine carriera, «quando ormai non interessa più a nessuno», constata l’ex medico Fifa.
Dall’altra parte, dietro le porte chiuse degli spogliatoi delle grandi squadre, c’è una frenetica attività di ricerca per sviluppare trattamenti farmacologici che possano migliorare le prestazioni dei giocatori. Tracce di queste attività emergono dalle carte del processo istruito dal pm Guariniello a carico di Riccardo Agricola, ex medico della Juventus, e l’allora Ad Antonio Giraudo, accusati di frode sportiva e di aver utilizzato una sostanza dopante, l’epo.
Molto spesso la decisione è di sottoporsi all’ennesima puntura. Come accaduto a Edoardo, il girovago delle leghe minori che per primo ha condiviso la sua storia: ogni sabato sera andava da un dottore, in dote una bottiglia di vino, per farsi un’infiltrazione che gli permettesse di giocare la domenica. «Sono sceso in campo, da portiere, anche con le dita lussate», ricorda. Prima del calcio d’inizio, prendeva due Aulin senz’acqua e si preparava un cocktail di Aulin, Vivin C e Supradyn. «Quando tornavo a casa la sera guidavo la macchina solo con la gamba sinistra, la destra mi faceva così male che la dovevo tenere distesa sul sedile del passeggero», ricorda. Per chi guadagna 1500 o 2mila euro in promozione, spesso in nero, giocare è un obbligo, perché «se cominci a saltare le partite, ti tolgono dalla prima squadra, e smetti di guadagnare».
Dal 2015 l’Associazione calciatori ha in corso una campagna di sensibilizzazione sull’argomento. Perché, come dice il presidente Damiano Tommasi, ex Roma e Nazionale, «nelle squadre il medico è un anello debole». Non riesce mai a imporre uno stop. Anzi, Uefa e Fifa stanno allungando la lista degli impegni: «Avevamo fatto una proposta che è stata introdotta due anni fa per l’introduzione dei cinque cambi, eccetto nei campionati di vertice, una proposta tornata utile in questa situazione di pandemia per far riprendere i campionati».
Non che nel passato la situazione fosse più semplice. Salvatore Garritano, attaccante di Bologna, Torino, Ternana e Atalanta negli anni Settanta, racconta che ai suoi tempi «se avevi un dolore, ti davano qualcosa con cui giocare, ma che fosse dannosa o meno noi non lo sapevamo». A Garritano è stata diagnosticata la leucemia nel 2007 e da allora, al male del corpo, si è aggiunto quello dell’ostracismo che ha subito per aver denunciato la presenza del doping nel calcio. Luca Mezzano, 15 stagioni e oltre 300 presenze tra serie A e B, per più di un anno ha tenuto a bada una pubalgia a botte di Aulin e iniezioni di Voltaren. Era il secondo anno nelle fila del Torino, il primo in serie A. A fine stagione è arrivata la chiamata dell’Inter: «Non ho detto nulla allo staff medico, perché per me era l’occasione della vita», confessa. Quando ormai gli anti infiammatori non facevano più effetto ha finalmente scoperto che si trattava di tre ernie inguinali.