Devo dire la verità. Fino a due giorni fa non avevo alcuna voglia di scrivere un editoriale sulla fine ingloriosa del Parma Fc. Più da tifoso che da giornalista, lo ammetto. Da dicembre, decisamente schifato dalla situazione che si era venuta a creare, avevo abbandonato ogni idea di commentare gli eventi surreali che hanno contornato la discesa agli inferi della mia squadra del cuore, lasciando spazio a colleghi ben più preparati su questioni finanziarie e soprattutto giudiziarie. Lo definisco contorno perchè il teatrino cui abbiamo impotenti assistito è parso volto a procrastinare, ogni giorno di più, quello che era un fallimento annunciato già da tempo.
Il dubbio che stesse bollendo qualcosa di grosso in pentola infatti ci assalì subito dopo aver assistito increduli a quella famosa conferenza stampa in cui l’ex presidente Tommaso Ghirardi annunciava le dimissioni a causa della mancata partecipazione all’Europa League per un mancato pagamento.
E ad essere ancora più sinceri, che ci potesse essere qualcosa di profondamente sbagliato nell’ultima gestione del club era balenato nella mente del sottoscritto e degli altri componenti della redazione di questo piccolo quotidiano quando venimmo a sapere dell’eliminazione sistematica di parmigiani (e parmensi) o di figure storiche del Parma calcio dall’organigramma della società. Come non ricordare il buon Franco Chiastra, al servizio della squadra per anni, buttato fuori senza tante cerimonie e soprattutto l’allontanamento di Pietro Carmignani che il Parma era riuscito a salvarlo già due volte e avrebbe voluto anche solo allenare e crescere i giovanissimi crociati. Lo chiamano spoiling system ed è nei diritti di chi acquista di tasca sua una qualsiasi azienda. Si mettono persone di fiducia nei posti chiave. Ma il Parma calcio e così qualunque altra squadra di provincia, non è proprio un’acciaieria e, forse, a furia di portare elementi esterni ed estranei al tessuto sociale locale si è dato il via ad un processo degenerativo inarrestabile.
E magari, negli ultimi mesi, qualcuno si è pentito di aver per anni creato un apartheid tra stampa “buona” e stampa “cattiva”. Quella a cui si risponde al telefono sempre (o quasi) e quella a cui si telefona solo per protestare, negare o minacciare. O a cui, come nel caso dell’amico Gabriele Majo di Stadiotardini.it, ex addetto stampa della medesima società, si impone durante una conferenza pubblica di non fare più domande poichè “nemico” del club.
Ecco, in questo clima più che la voglia di scrivere mi ha attanagliato un senso di nausea e di profonda tristezza: per il club ma anche per il futuro di questa bella città che forse sta ricevendo un po’ troppe mazzate nell’ultimo periodo e come un pugile suonato ad un certo punto potrebbe finire definitivamente al tappeto. Siamo d’accordo che ci sono cose più importanti del calcio di cui parlare, ma poichè il quotidiano più letto in Italia è una testata sportiva, forse il futuro del calcio e della nostra società sono ormai irrimediabilmente intersecati. Sarebbe meglio dire incastrati. Se va a picco uno dei due, forse è perchè l’altro e da un po’ di tempo che vacilla e viceversa.
Questo lungo preambolo per descrivervi lo stato d’animo di chi scrive che, due giorni fa, quando è diventata ufficiale e quindi ormai non più fragorosa (almeno per gli addetti ai lavori) la notizia del fallimento del Parma, ha cambiato idea. Già. Rimanere in silenzio non è ammissibile. Del Parma bisogna parlare partendo proprio dal fallimento. Ma non per piangersi addosso, ma per ripartire dopo che, purtroppo, tutto è stato azzerato.
Da qui il titolo dell’editoriale: la primavera del Parma, che ha molti significati, a partire dalla bella stagione iniziata proprio oggi, che appunto ripropone il tema della rinascita dopo il grigiore invernale. Per i crociati, dopo la falsa partenza di 8 anni fa, è tempo di ripartire da zero e di lasciarsi alle spalle le gestioni opache che hanno portato all’unica soluzione possibile: il fallimento. A cosa serve riempirsi la bocca di trofei e risultati conseguiti se alla fine si corre il rischio di vedere quei trofei all’asta in un tribunale.
Quindi cari tifosi, le vostre lacrime e soprattutto la vostra memoria, potranno essere davvero, a partire da oggi, l’humus in cui far crescere un nuovo Parma. Senza miliardi e senza dirigenti dalle ambizioni irreali la nuova strada potrà essere tracciata soprattutto da voi e dalla vostra passione. Una strada fatta da sacrifici ma soddisfazioni vere, tipo quella di esultare per un gol importante di un giocatore visto crescere nel vivaio della propria squadra del cuore. Magari nato in provincia.
E infatti non è un caso che sia la Primavera la squadra dei campioni del futuro. Di quelli che “manca poco”. Di quelli che presto potrebbero calcare in casacca gialloblù o crociata i campi più importanti. La primavera è necessariamente fonte di speranza. L’attuale, allenata dal grande Hernan Crespo verrà forse sciolta, i giocatori regalati ad altre squadre, forse andranno all’estero. Ma da qui bisogna ripartire: non ci sono scorciatoie. Un cammino lungo e lastricato di ostacoli. Da superare, non aggirare. E quindi, se un politico, un burocrate o un dirigente del calcio di turno si inventa trucchi e trucchetti per farci guadagnare una o due serie scacciamolo e allontaniamolo con forza. Non è la serie da cui si parte che determina la passione con cui grideremo “Forza Parma!”. Bisogna solo gridare più forte.
Ecco il 2015 io voglio ricordarlo così, non come anno del fallimento del Parma, ma come l’anno zero del Parma. Quello in cui ci siamo lasciati alle spalle tutto il male che hanno fatto al “nostro” Parma. Perchè come è stato già detto, quello fallito non è il Parma dei tifosi, nè quello di chi scende in campo. Il Parma fallito è quello di chi ha usato mezzucci per gloriarsi di traguardi raggiunti a spese altrui.
Il Parma dei tifosi, dei “ribelli con il sorriso”, non morirà mai.
Francesco Lia
Direttore SportParma.com