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GEDE: «La serie A va finita, ma senza affrettare i tempi. Attenzione alla rabbia sociale»

GEDE: «La serie A va finita, ma senza affrettare i tempi. Attenzione alla rabbia sociale»

Appuntamento straordinario con “Il Gede Risponde” la storica rubrica di Sportparma firmata dall’ex allenatore del Parma Pietro Gedeone Carmignani. Sotto la lente di ingrandimento l’emergenza Covid-19 e il futuro della serie A.

Buongiorno e ben ritrovato mister. Come sta trascorrendo la quarantena?
“Buongiorno a tutti voi. Mai vista una cosa del genere in 75 anni. La vita è cambiata profondamente, ma ero e resto un ottimista, malgrado qui in Lombardia la situazione sia molto critica. Ci sono tanti morti, molti anziani, vite spezzate, abbiamo perso qualcosa di importante.
Prima di questo periodo giocavo 4-5 volte a settimana a tennis, ero impegnato tutti i giorni con i due nipotini che andavo a prendere a scuola a accompagnavo alla scuola calcio. Mi mancano molto, mi manca il loro contatto, il vivere insieme. Per fortuna c’è la tecnologia per vedersi e parlarsi; in queste settimane ho partecipato a diversi seminari con gli altri allenatori, l’ultimo è stato quello con Stefano Pioli. Comunque mi tengo in forma: la mattina faccio addominali, flessioni, ginnastica, piegamenti sulle gambe. A pomeriggio mi dedico agli scacchi, alla lettura e alle parole crociate. Guardo un po’ di televisione, ma sinceramente mi fa rabbia vedere le partite del passato”.

Intanto la serie A non trova pace. In questi due mesi abbiamo assistito a un po’ di tutto. Lei come la vede questa situazione di grande incertezza e caos?
“E’ un evento straordinario, ma dovevamo essere più preparati, a tutti i livelli; basta vedere come si sono comportate altre nazioni, ad esempio la Germania. Il calcio è nel caos, non si capisce nulla. Si riprende, non si riprende. E’ pacifico che le squadre che stanno bene in classifica vogliano riprendere, tipo la Lazio. Quelle come il Brescia, invece, non vogliono riprendere. Ognuno tira l’acqua al suo mulino, senza trovare una soluzione generale. La priorità è giocare, ma bisogna imparare a convivere con il Covid-19, il calcio come ogni altro settore. Ma per farlo serve un clima di fiducia e serenità”.

Come e quando la serie A potrà tornare in campo?
“Se tra 20 giorni la situazione migliora, grazie anche al caldo, come dicono, potremmo tornare alla quasi normalità, ma sempre all’interno di stadi a porte chiuse. Ma se non succede dobbiamo trovare soluzioni adeguate. Il calcio muove un sacco di interessi ed è lo sport più seguito; è una fonte di speranza per molti. Bisogna trovare soluzioni e non fare solo polemiche. A mio parere il campionato va finito, ma senza fretta. I contratti dei giocatori scadono a giugno, serve una liberatoria, bisogna dire eventualmente che si giocherà in estate e si finisce il campionato. Poi a settembre/ottobre inizia la nuova stagione, ma bisogna essere allineati agli altri campionati europei. Poi c’è il discorso delle coppe europee. Insomma, i problemi sono tanti. Devono trovare una soluzione che vada bene per tutti”.

Anche se tanti tifosi non sono d’accordo sulla ripresa del campionato…
“Molte realtà del tifo organizzato si sono date da fare, a Parma e nel resto dell’Italia. I tifosi dell’Atalanta hanno costruito un ospedale, gente che si è data da fare, ma hanno ragione a dire che è irrispettoso riprendere la serie A con tutti quei morti… Ma è anche vero che bisogna dare un po’ di speranza, tutto lo sport in generale. Come bisogna pensare di convivere con il coronavirus”.

Come giudica il protocollo per ripresa delle attività che la serie A ha presentato al Governo?
“Ci sono alcune assurdità, come la possibilità di rinchiudere i giocatori in ritiro per 30-60 giorni, è un’idea terribile. Il calcio è dei tifosi, non dimentichiamocelo. Ma gli stadi non riapriranno presto.
Bisogna trovare qualcosa di nuovo, di diverso. Non si tornerà alla normalità in tempi brevi. Vedi scuole, cinema, stadi, concerti, ecc. A meno che non trovino un vaccino. E poi: nel calcio, come in altri sport, come fai a giocare con una mascherina? E’ giusto non affrettare i tempi e non rischiare i tempi”.

In mezzo al caos della serie A ci sono state anche le polemiche per quei giocatori che hanno lasciato l’Italia per tornare nei propri paesi di origine. Cosa ne pensa?
“Ai giocatori è stato concesso di uscire fuori del paese, ai cittadini comuni no. E’ pacifico che siano stati dei privilegiati. Restiamo in casa, giusto, ma un conto è farlo in 150 metri quadrati e con tutti i confort, e un altro in 60 metri. Non voglio essere invidioso, sono stato un calciatore anche io, ma bisogna capire anche lo stato di chi sta vivendo una situazione allucinante e portare rispetto, essere sensibili. Le gente non uscendo di casa non lavora. Sono 2 mesi che non guadagnano un euro. Quante persone ci sono in queste condizioni? Ronaldo e Ibrahimovic sono su un isola e fanno quello che vogliono, o quasi. I tifosi però cominciano a pensarci, a riflettere. Sono differenze enormi che generano rabbia sociale. I campioni possono dare l’esempio ed è quello che devono fare. Ho letto che alcuni giocatori non erano d’accordo a ridursi lo stipendio, la gente comune vivrebbe anni con una loro mensilità”.

Poi c’è tutto il calcio “minore” dove la situazione è allarmante…
“Infatti in questo momento a me interessa di più il calcio dei bambini e dei ragazzi. Non solo il calcio, tutto lo sport giovanile, che è fermo. Il calcio nasce dalla base e poi arriva fino alla serie A. Il calcio dilettantistico è in profonda crisi, questi sono i veri problemi. Il 30-40% delle società rischiano di sparire. Ma se sparisce la base ci sarà poco futuro per tutto il resto. Servono piani alternativi, ripeto.
Infine, permettetemi di ringraziare tutti i medici, infermieri,personale della protezione civile e volontari che stanno facendo un lavoro incredibile”.

 

 

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